Autore: Fabrizio Gambetta

GenZ: tutto quello che i marketer dovrebbero sapere

Quali sono i trend che i marketer europei devono tenere in considerazione per intercettare i desideri di chi ha tra 14 e 27 anni?
In Europa i GenZ sono 48,5 milioni, di cui 7,6 milioni in Italia. Pur trattandosi di un segmento meno ampio rispetto alle generazioni precedenti (i Boomer sono quasi 70 milioni), i GenZ continuano a essere al centro delle attenzioni delle aziende.

L’Osservatorio Eumetra sfata diversi miti. Ad esempio, nonostante gli stereotipi sulla loro pigrizia, emerge l’ambizione e il desiderio di guadagnare, unita a nuove esigenze, come poter lavorare da casa e gestire l’equilibrio con la vita privata.

Tra risparmi e nuovi media

Un aspetto che i player del settore finanziario devono considerare riguarda il loro rapporto con il denaro. Che provenga dal lavoro o dalla ‘paghetta’, la grande maggioranza dei GenZ qualcosa vuole risparmiare. 
Inoltre, se i social per i GenZ sono anche un modo per esplorare brand o prodotti e fare acquisti, si affermano nuove pratiche di pagamento, come il Buy now, pay later’.

Quanto al rapporto con i media, e in particolare, con la TV, se quella lineare non è molto seguita dai GenZ, anche la TV in streaming deve competere con la visione di video o altro sulle diverse piattaforme online.
I marketer devono quindi chiedersi qual è la frequenza di esposizione a questi media, e che tipologie di contenuti sono preferiti.

Ansia ed eco-ansia

Anche l’ansia in parte è condizionata dai social e dalla proposta di corpi irrealistici, minacce sui cambiamenti climatici e video di guerra. Cosa possono fare i brand per supportare i giovani?
Prima di tutto devono chiedersi come è cambiata la relazione con il corpo rispetto al passato, e se persiste tra i giovani l’inseguimento di modelli irrealistici o c’è una maggiore accettazione di sé e delle diverse caratteristiche individuali.

È inoltre nota la sensibilità e l’attenzione delle nuove generazioni verso i temi della sostenibilità nella declinazione ambientale e sociale. Otto GenZ su 10 ritengono importante prendere misure urgenti per combattere il cambiamento climatico. Ma, oltre all’eco-ansia, qual è il peso di questi temi sulla loro visione del futuro?

La GenZ non è un monolite

Le prime edizioni dell’Osservatorio Eumetra hanno evidenziato un atteggiamento decisamente diverso nei confronti delle marche rispetto alle altre generazioni. Meno legati a notorietà e storicità della marche, i GenZ si attendono un ritorno dalle aziende e prestano attenzione alle testimonianza di consumatori reali.

Insomma, come possono i brand coinvolgere i GenZ, e quali sono gli stili e i linguaggi di comunicazione più adatti a parlare con loro?
Intanto non si deve guardare alla Gen Z come un monolite: i giovani non sono tutti uguali solo perché sono nella stessa fascia di età. I brand devono quindi capire che tipo di adolescenti sono i più giovani (15-19enni), che tipo di adulti stanno diventando coloro che entrano nella vita “attiva” (25-27enni), senza tralasciare chi ha tra 20 e 24 anni.

Sondaggio salute e sanità: gli italiani manifestano percezioni negative

Negli ultimi anni il sistema sanitario nazionale, ha dovuto affrontare una pressione intensa a causa della pandemia, evidenziando ritardi e carenze accumulati nel corso del tempo.
Ma la tutela della salute richiede necessariamente un sistema sanitario efficace, e un personale medico qualificato. E considerando l’invecchiamento della popolazione e le crescenti difficoltà nel reperire risorse pubbliche per sostenere la sanità, in futuro si prevede un onere ancora maggiore per il sistema.

Ma forse, si dovrebbe parlare della crescente difficoltà nel decidere di allocare risorse a questa voce di bilancio. Gli italiani ne sono consapevoli, e lo esprimono chiaramente. Metà popolazione valuta infatti negativamente le prestazioni del SSN.

Critici sul SSN, soddisfatti dei medici di base 

Il sondaggio a cura del team di Public Affairs di Ipsos sulla Giornata Mondiale della Salute 2024, celebrata ogni anno il 7 aprile, evidenzia una percezione piuttosto negativa da parte della popolazione italiana sul nostro sistema sanitario.

Il 50% della popolazione valuta negativamente le prestazioni offerte dal Sistema Sanitario Nazionale, mentre il 44% le valuta positivamente. La percentuale di valutazioni negative sale al 54% tra gli over 60, mentre solo per la Generazione Z il bilancio è positivo.
In questo contesto, per lo più critico, emerge il ruolo fondamentale dei medici di base, punto di riferimento imprescindibile per gli italiani, tanto che il 70% si dichiara soddisfatto. 

Un Sistema a due velocità: il divario tra Nord e Sud

Il divario Nord-Sud è invece evidente nel giudizio sul SSN. Si potrebbe affermare che la valutazione nazionale risulta negativa a causa dell’insoddisfazione preponderante nel Centro-Sud.
Nel Centro-Nord, infatti, i giudizi positivi (52%) superano quelli negativi (46%). Al contrario, al Sud prevale l’insoddisfazione, con il 57% di giudizi negativi rispetto a il 36% positivi.

Il divario si accentua ulteriormente quando i termini della questione vengono posti in maniera comparativa. Se i cittadini del Centro-Nord, in particolare del Nord-Est (51%), sono abbastanza convinti che la qualità delle prestazioni sanitarie nella loro regione sia superiore rispetto ad altre, solo l’11% dei cittadini del Sud afferma lo stesso.

Rinunciare alle cure per la difficoltà di accesso alle prestazioni

Il fenomeno della “rinuncia alle cure” è un aspetto estremamente critico che rischia di diventare drammatico. Nonostante molti italiani siano ancora in grado di trovare soluzioni private, non tutti possono farlo. 

Il problema principale risiede nell’accesso ai servizi di salute pubblica. Il 74% degli italiani ha dovuto affrontare tempi di attesa non sostenibili per ricevere cure, mentre il 56% ha riscontrato che il servizio necessario non era disponibile nella loro area di residenza o a una distanza ragionevole.
Il dato più preoccupante è che il 16% ha rinunciato alle cure proprio per queste circostanze.

Cinquecentomila abbandonano la scuola, ma “solo” 55.500 i cervelli in fuga

In Italia nel 2022 i giovani che hanno abbandonato la scuola prematuramente sono stati 465.000, l’11,5% della popolazione tra 18-24 anni, mentre i cosiddetti “cervelli in fuga” dal nostro Paese per trasferirsi all’estero sono stati 55.500. 
Di fatto, i primi sono 8 volte in più dei secondi, ma mentre la dispersione scolastica non è ancora avvertita come una piaga educativa dal costo sociale spaventoso, la fuga all’estero di tanti giovani lo è.

Se a queste specificità che caratterizzano il mondo giovanile si aggiungono la crisi demografica e la rivoluzione digitale, tutto ciò avrà inevitabili ricadute anche per le imprese.
Con sempre meno giovani, di cui molti con un livello di istruzione insufficiente, per tante Pmi trovare personale preparato sarà una missione impossibile. Lo sostiene l’Ufficio studi della CGIA. 

Abbiamo pochi diplomati e laureati 

L’Italia, rispetto ai principali Paesi dell’Unione, nel campo dell’istruzione/formazione scolastica presenta due problemi. Il primo è dovuto a un basso numero di diplomati e laureati, soprattutto in materie scientifiche.
L’interesse per l’AI varia tra i settori. Il secondo, riguarda un’elevata povertà educativa che secondo gli esperti, va di pari passo con la povertà economica.

Le cause che determinano la “fuga” dai banchi di scuola sono principalmente culturali, sociali ed economiche. 
I ragazzi che provengono da ambienti socialmente svantaggiati e famiglie con basso livello di istruzione hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola prima di aver completato il percorso di studi che li porta a conseguire almeno il diploma di maturità. 

Più risorse a sostegno degli istituti professionali 

Va altresì segnalato che talvolta, l’abbandono scolastico può essere causato da una insoddisfazione per l’offerta formativa disponibile.
In questo, senso si sottolinea il lavoro inclusivo svolto dagli istituti di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), realtà diventate nel tempo un punto di riferimento per gli allievi di nazionalità straniera, per quelli con disabilità e per gli studenti reduci da insuccessi scolastici precedenti.

Scuole che spesso operano in aree caratterizzate da un forte degrado urbano e sociale, ma che grazie allo straordinario lavoro antidispersivo svolto, andrebbero sostenute con maggiori risorse. 

La situazione più critica al Sud 

A livello territoriale sono le regioni del Sud che presentano i livelli di abbandono scolastico più elevati. Pertanto, dal confronto tra la dispersione scolastica e la “fuga di cervelli” è la Campania a presentare il gap più elevato (la prima è numericamente 16 più grande della seconda). Seguono Puglia e Sicilia (14), e Toscana e Sardegna (8). 

Sebbene la fuga dai banchi di scuola sia in calo in tutta Europa, tra i 20 Paesi dell’Eurozona nel 2022 l’Italia era al terzo posto per abbandono scolastico dei giovani tra 18 e 24 anni (11,5%). Solo la Spagna (13,9%) e la Germania (12,2%) presentavano un risultato peggiore del nostro (media dell’area Euro 9,7%).

Beni di consumo: 187 miliardi di fatturato, +5,2% nel 2023

È quanto emerge dal nuovo Barometro dei Consumi di NIQ: nel 2023 la spesa degli italiani per i beni di largo consumo e i beni tecnologici e durevoli è aumentata del 5,2% rispetto al 2022, per un fatturato complessivo di 187 miliardi di euro.

L’aumento è stato determinato in particolare dalla crescita del prezzo dei prodotti alimentari e per la cura della persona, mentre le famiglie sono rimaste più caute nelle spese di alcuni prodotti T&D (beni di consumo tecnologici, elettrodomestici, fai da te).
Il Barometro dei Consumi combina i dati di NIQ e GfK, e offre una panoramica completa della spesa nel settore FMCG (prodotti alimentari, deperibili, cura della casa e della persona) e nel settore T&D.

La crescita si deve all’aumento a doppia cifra dei prezzi

Nel 2023, nel settore del largo consumo, si è registrata una crescita del fatturato senza precedenti che ha superato i 134 miliardi di euro, +7,9% rispetto al 2022, alimentato principalmente dall’aumento a doppia cifra dei prezzi.

Nonostante l’inflazione abbia eroso il potere d’acquisto dei consumatori, i beni di prima necessità hanno mantenuto un livello stabile di vendite a volume, con una modesta flessione del -1,7% (nel perimetro dei prodotti confezionati). Secondo il Barometro dei Consumi, le categorie che hanno mostrato le performance migliori sono state il settore alimentare, con un aumento dell’8,9% e un giro d’affari di 82 miliardi di euro nel 2023, e il fresco, +8,2%.
Anche i prodotti per la cura della casa e della persona hanno registrato una solida crescita, pari a +7,0%.

L’effetto inflazione sulle vendite

Analizzando i dati trimestrali, emerge come l’effetto dell’inflazione, con un valore medio dell’11,3% nel 2023, sia stato più pronunciato nei primi sei mesi dell’anno.

Ciò ha contribuito a spingere le vendite, in crescita rispettivamente del 9,2% nel primo trimestre e del 9,8% nei mesi di aprile, maggio e giugno. Successivamente, l’inflazione si è stabilizzata, con una crescita delle vendite più moderata (+7,8%) nel terzo trimestre.
Nei mesi di ottobre, novembre e dicembre, l’effetto dell’inflazione si è attenuato ulteriormente, toccando il punto più basso di crescita a valore, pari al 5,1%.

T&D: un anno di alti e bassi

Il mercato dei beni tecnologici e durevoli (T&D) in Italia nel 2023 ha attraversato un anno di alti e bassi e una lieve decrescita rispetto al 2022, registrando un fatturato di 53 miliardi di euro.
Il settore dell’Home Improvement, che comprende prodotti per il miglioramento della casa e l’arredamento, ha iniziato il 2023 con una crescita solida (+5,3%), ma ha chiuso l’anno con una flessione del -0,2%.

Il settore Technical Consumer Goods (TCG), che include elettronica di consumo, telefonia, IT, prodotti per l’ufficio, fotografia e altri beni tecnologici, ha sofferto un calo significativo nel 2023, pari a -5,4%.
Tuttavia, alcune sottocategorie, come gli elettrodomestici, hanno registrato una crescita positiva nel 2023, e il settore ha chiuso l’anno a 6 miliardi di euro (+3,2%).

Grandi aziende italiane, che livello ha raggiunto l’automazione dei processi?

Il 42% delle grandi aziende italiane attualmente utilizza sistemi di automazione dei processi, una percentuale che aumenta al 60% tra le imprese con più di 1.000 dipendenti. Tuttavia, solo il 15% di queste imprese ha implementato progetti di automazione intelligente dei processi, combinando tecniche tradizionali con funzioni di intelligenza artificiale. Tale percentuale cresce al 34% tra le grandissime realtà, ma scende al 10% in quelle grandi (con 250-999 addetti).

Nonostante il 61% delle grandi aziende abbia avviato progetti di Intelligenza Artificiale, la maggior parte di essi si concentra sulla costruzione di sistemi di supporto alle decisioni piuttosto che sull’automazione.

Le funzioni aziendali più coinvolte

La ricerca condotta dall’Osservatorio Intelligent Business Process Automation della School of Management del Politecnico di Milano rivela che, tra le aziende che hanno sperimentato l’Intelligent Automation, le funzioni aziendali più coinvolte sono Accounting, Finanza e Controllo, seguite da Operations, Sales e Customer Service. Solo il 15% delle grandi aziende italiane ha formalizzato il know-how per renderlo fruibile per sistemi automatici abilitati dall’IA.

La ricerca evidenzia inoltre che molte aziende stanno sperimentando progetti di AI in fase di “test”, e dunque non ancora pienamente integrati nei processi aziendali. Il Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, Giovanni Miragliotta, sottolinea che nonostante l’automazione dei processi di business sia un tema consolidato da circa dieci anni, le recenti capacità dell’Intelligenza Artificiale portano un nuovo livello di cambiamento. Un cambiamento ostacolato però da diverse barriere, tra cui l’integrazione di dati e tecnologie, le resistenze interne e la gestione delle reazioni dei clienti.

Il valore dei finanziamenti

La ricerca ha coinvolto 501 aziende attive nell’ambito dell’automazione dei processi a livello internazionale, che hanno ricevuto finanziamenti negli ultimi 20 anni, raccogliendo complessivamente 15 miliardi di dollari. Nel periodo dal 2014 al 2020, si è registrato un incremento significativo nel numero di aziende finanziate e nel valore dei contributi, con l’82% del totale dei finanziamenti raccolto tra il 2018 e il 2022.

L’adozione della business process automation può essere categorizzata in tre livelli incrementali: task-level, business process e business process reengineering. Questi livelli offrono diverse opportunità di valore per le organizzazioni e possono essere attivati in base alle esigenze specifiche.

Le soluzioni tecnologiche per l’automazione 

L’offerta di automazione dei processi comprende soluzioni tecnologiche come la Robotic Process Automation (RPA), con un’evoluzione verso funzionalità abilitate dall’Intelligenza Artificiale e dalla generative AI. L’importanza delle soluzioni di process intelligence, come task mining e process mining, è in crescita, anche se l’80% delle aziende che hanno automatizzato alcuni processi non ha utilizzato tali tecnologie.

Infine, l’Intelligenza Artificiale trova applicazione in diverse fasi di gestione e automazione dei processi aziendali, comprese categorie come business process management, sviluppo e funzionamento dell’automazione, interazione con l’automazione, automazione del processo e orchestrazione di più processi. Tuttavia, l’adozione di queste tecnologie è ancora in fase di sviluppo e la consapevolezza delle aziende riguardo alle opportunità offerte dall’IA è in continua crescita.

Minacce digitali: attacchi tramite e-mail +222% nel secondo semestre 2023 

Nella seconda metà del 2023 il phishing potenziato dall’AI ha colpito oltre il 90% delle organizzazioni, contribuendo in modo netto all’incremento del 222% degli attacchi sferrati via e-mail.
Emerge dal report globale di Acronis sulle minacce digitali, dal titolo ‘Incessante aumento degli attacchi informatici: PMI e MSP nel mirino’, relativo al secondo semestre 2023.

Il report conferma la tendenza alla diminuzione delle varianti e del numero di nuovi gruppi di ransomware, ma le famiglie più diffuse di questo vettore continuano a causare perdite di dati, e denaro, alle aziende di tutto il mondo. Inoltre, il report anticipa un’intensificazione degli attacchi con tattiche avanzate, come quelli alla supply chain, basati sull’AI e le incursioni sponsorizzate da Stati nazione.

Singapore, Spagna e Brasile i più colpiti dagli attacchi malware

Gli MSP devono prepararsi a far fronte a minacce specifiche per le loro attività. Tra queste, la strategia di ‘island hopping’, in cui gli aggressori sfruttano l’infrastruttura di un MSP per attaccare i clienti, o lo stuffing delle credenziali, con cui viene sfruttato l’ampio accesso ai sistemi di cui dispone un MSP.

Nell’ultimo trimestre 2023, i paesi più colpiti dagli attacchi malware (ogni malware circola in media 2,1 giorni prima di scomparire) sono stati Singapore, Spagna e Brasile.
Nello stesso periodo, Acronis ha bloccato quasi 28 milioni di URL sugli endpoint (- 36% rispetto al quarto trimestre 2022) e ha reso pubblici 1.353 casi di ransomware.

Il ransomware minaccia PA e medie/grandi imprese

Aumenta l’impiego di sistemi di AI generativa per avviare attacchi informatici e creare contenuti dannosi. WormGPT, FraudGPT, DarkBERT, DarkBART e ChaosGPT sono alcuni tra gli strumenti più utilizzati dagli hacker.
Ma è il ransomware la principale minaccia per le medie e grandi imprese, colpendo settori strategici come la PA e la sanità, mentre i furti di dati sono la seconda minaccia più diffusa.

I gruppi specializzati in ransomware più attivi nel 2023 includono invece LockBit, Cl0P, BlackCat/ALPHV, Play e 8Base.
Il provider italiano di servizi cloud Westpole per la PA ha subito un importante attacco che ha messo in crisi servizi per 1.300 amministrazioni pubbliche, tra cui 540 comuni. L’attacco, attribuito a LockBit 3.0, ha portato a operazioni manuali in diversi comuni, con ripercussioni sui pagamenti degli stipendi.

Non cessano gli attacchi agli MSP

Mentre l’agenzia italiana per la sicurezza informatica ha recuperato i dati di oltre 700 enti, il ripristino delle restanti 1.000 amministrazioni pubbliche rimane in difficoltà, sollevando preoccupazioni circa la capacità di Westpole di recuperare completamente i dati e adempiere agli obblighi nei confronti delle PA colpite.

Non cessano poi gli attacchi agli MSP, come la recente violazione di alto profilo che ha interessato numerose agenzie governative degli USA. Le vulnerabilità degli account di posta elettronica nel cloud di Microsoft, ad esempio, hanno causato la violazione di 60.000 e-mail appartenenti a 10 account del Dipartimento di Stato USA.

Rischi globali: come prevederli e affrontarli? 

Tensioni geopolitiche, crisi climatiche e incertezze economiche contribuiscono a un panorama globale instabile, caratterizzato da narrativa polarizzante e crescente insicurezza. E mentre le società si adattano a queste sfide, la capacità di cooperare a livello globale è messa alla prova.
In un mondo caratterizzato da crescente complessità, incertezza e frammentazione, la previsione e la gestione del rischio globale diventano sempre più cruciali per i leader aziendali e i policy maker.

Da quasi due decenni, il Global Risks Report del World Economic Forum (WEF) svolge un ruolo chiave nel processo decisionale strategico. Realizzato in collaborazione con Marsh McLennan e Zurich Insurance Group, il Report 2024 esplora le sfide più pressanti che il mondo dovrà affrontare nei prossimi anni, con particolare attenzione ai cambiamenti tecnologici, l’incertezza economica, i problemi legati a clima e conflitti.

Servono maggiore consenso e cooperazione

Il rapporto mette in luce la necessità di un maggiore consenso e cooperazione per affrontare efficacemente i rischi globali, identificando la possibilità di uno ‘sforzo minimo vitale’ per affrontare questi problemi in base alla loro natura.

Le intuizioni del rapporto sono supportate da dati originali sulla percezione del rischio globale, raccolti attraverso il Global Risks Perception Survey, che coinvolge leader globali provenienti da diverse aree, tra cui accademici, imprese, governi e società civile.
Guardando al futuro, il rapporto evidenzia la necessità di un dialogo aperto e costruttivo tra i leader del governo, delle imprese e della società civile per affrontare i rischi globali e sviluppare opportunità e soluzioni a lungo termine.

Il deterioramento delle prospettive globali nel 2023

Dalla persistenza dei conflitti letali in varie regioni del mondo alle condizioni meteorologiche estreme legate ai cambiamenti climatici, il 2023 è stato caratterizzato da una serie di sfide.
Il malcontento sociale è cresciuto in molti paesi, con proteste violente e rivolte che hanno dominato i cicli di notizie. Sebbene le conseguenze destabilizzanti a livello globale siano state in gran parte evitate, le prospettive a lungo termine suggeriscono la possibilità di ulteriori shock globali.

Il rapporto delinea quattro forze strutturali che modelleranno la gestione dei rischi globali nel prossimo decennio: i cambiamenti climatici, la biforcazione demografica, l’accelerazione tecnologica e gli spostamenti geostrategici. Queste transizioni saranno caratterizzate da incertezza e volatilità, mettendo alla prova la capacità delle società di adattarsi e rispondere efficacemente ai rischi globali.

Il ruolo del Global Risks Consortium

A sostenere l’iniziativa del World Economic Forum nella gestione dei rischi globali ci penserà il neo nato Global Risks Consortium.
Il nuovo consorzio si concentrerà sull’elaborazione di azioni proattive per affrontare i rischi globali, migliorando la comprensione e la diffusione della previsione del rischio e promuovendo l’azione concreta attraverso il dialogo nazionale e di settore.

L’obiettivo principale di questa iniziativa, riporta Adnkronos, è assicurare che i leader politici e aziendali di tutto il mondo prendano decisioni cruciali basate sulle migliori informazioni disponibili, con una chiara comprensione dei potenziali futuri e delle relative implicazioni.

Lavoro, è allarme burnout 

I dati sulla diffusione del burnout all’interno delle aziende sono sconcertanti: globalmente, circa il 20% dei dipendenti ne sperimenta i sintomi. la situazione è tale che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ufficialmente riconosciuto il burnout come una condizione medica collegata allo stress cronico non gestito adeguatamente sul luogo di lavoro, includendolo nella classificazione internazionale delle malattie.

Il fenomeno, inoltre, colpisce in modo più significativo i lavoratori delle aziende più piccole, quelli senza posizioni manageriali e i giovani.

Impatto maggiore sui giovani 

In particolare, l’80% dei dipendenti appartenenti alle generazioni Z e Millennial sarebbe disposto a lasciare il lavoro a causa di una cultura aziendale tossica. La necessità di prestare attenzione ai processi di ascolto dei dipendenti è stata evidenziata da Francesca Verderio, leader delle pratiche di formazione e sviluppo di Zeta Service, un’azienda italiana specializzata in servizi HR e payroll.

Le cause del burnout: conflitti e stress

Conflitti interpersonali, mancanza di chiarezza su compiti, responsabilità e obiettivi, pressioni legate alle tempistiche e al carico di lavoro possono portare a confusione, stress e bassa produttività, contribuendo al burnout. La necessità di un’adeguata gestione dello stress sul lavoro è chiaramente indicata dall’OMS.

Cosa succede a livello globale?

Un recente sondaggio condotto dal McKinsey Health Institute su 30.000 dipendenti in 30 paesi evidenzia che il 22% dei lavoratori a livello globale sperimenta sintomi di burnout, con variazioni significative tra le nazioni. L’India registra il 59%, mentre il Camerun segna il 9%. L’Italia si posiziona nella parte bassa della classifica, con solo il 16% dei sintomi di burnout, nonostante manifesti un’elevata percentuale di stanchezza fisica e mentale (43%).

Il prezzo economico del burnout

Le dimissioni dei giovani rappresentano oggi una sfida per il 60% dei talent manager. Si tratta di un ostacolo all’introduzione di nuove competenze e alla crescita delle imprese. Il calo della soddisfazione lavorativa, registrato dal 2020, potrebbe causare una perdita di circa 8,8 trilioni di dollari in produttività a livello globale, riferisce Cnbc.

Un clima aziendale positivo è necessario per stare bene 

Un ambiente di lavoro positivo consente ai dipendenti di sperimentare un maggiore benessere e di essere più performanti. E’ inoltre correlato a una maggiore soddisfazione lavorativa, coinvolgimento, collaborazione e produttività. Un sondaggio PwC evidenzia che il miglioramento del benessere dei dipendenti potrebbe contribuire economicamente, ad esempio nel Regno Unito, con un valore compreso tra 130 e 370 miliardi di sterline all’anno.

Lavori del futuro: “spunta” il Sustainability Specialist 

Quali sono i lavori del futuro, o meglio le professioni emergenti? Lo rivela Linkedin che, in una classifica recentemente pubblicata, ha elencato le 15 figure che saranno più richieste a breve. Tra le professioni che prevedono nuove competenze e attitudini, spicca la quarto posto il ruolo del ‘Sustainability Specialist’, una figura sempre più richiesta e particolarmente significativa per la sostenibilità delle organizzazioni.

Chi è il Sustainability Specialist?

Il ‘Sustainability Specialist’ è una figura particolarmente ricercata nelle grandi città come Milano e Roma. Questi “esperti” sono incaricati di ideare, supervisionare e implementare strategie mirate al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità aziendale. L’Unione europea ha sottolineato l’importanza di tali obiettivi, che coinvolgono interessi pubblici e privati, sociali e umanitari. Spesso questo ruolo è ricoperto da donne.

Le competenze richieste

Le competenze richieste per questa professione sono articolate. Comprendono infatti la rendicontazione di sostenibilità e la capacità di operare in contesti di consulenza per lo sviluppo sostenibile. Settori come la consulenza di servizi aziendali, la produzione di macchinari e la fabbricazione di mezzi di trasporto sono quelli maggiormente rappresentati.

La distribuzione per genere vede il 65% di donne e il 35% di uomini, con un grado di competenza medio richiesto pari a 2,8 anni di esperienza in ruoli analoghi.

Un contesto che cambia in fretta 

La presenza del ‘Sustainability Specialist’ nella top 5 delle professioni emergenti evidenzia come stia cambiando il mondo del lavoro, spinto anche da fattori come l’automazione e l’intelligenza artificiale. Questi professionisti operano in ambiti quali il project management, la consulenza ambientale e l’analisi del business. Tuttavia, la possibilità di lavorare da remoto resta limitata e si attesta intorno al 5%.

Le varie opportunità 

LinkedIn sottolinea che la classifica delle professioni in crescita offre insights utili per comprendere le tendenze che delineano il futuro della forza lavoro. In sintesi, dà informazioni preziose a chi desidera cambiare professione, rientrare nel mondo del lavoro o investire in competenze adatte alle sfide future.

La classifica delle professioni in crescita vede al primo posto i Sales Development Representative (addetti allo sviluppo commerciale), seguiti da Ingegneri dell’Intelligenza Artificiale e Analisti SOC (esperti di sicurezza informatica aziendale). Al quarto posto si collocano gli Sustainability Specialist di cui abbiamo scritto sopra e al quinto i Cloud engineer, che si occupano di monitoraggio e mantenimento dell’infrastruttura e dei server.

Lavoro: come rendere meno traumatico il rientro e iniziare l’anno con il piede giusto

Per lavoratori e aziende il mese di gennaio è il momento della ripresa delle attività. Una ripresa che però talvolta può essere davvero difficile.

“Gestire l’ansia e lo stress che molto spesso caratterizzano questi momenti diventa fondamentale per non avere conseguenze importanti sul proprio benessere”, spiega Massimo Mariani di Ab Lavoro, società di ricerca e selezione di personale qualificato.
Ripartire con il piede giusto dopo un periodo più o meno lungo di pausa, soprattutto all’inizio di un nuovo anno, è quindi importante per non rendere troppo traumatico il rientro in ufficio e la ripresa della routine quotidiana.

L’attenzione al benessere è fondamentale

Molto spesso accade purtroppo che il ritorno al lavoro sia accompagnato da una situazione di disagio, se non addirittura un vero e proprio malessere da rientro. Per fortuna, un occhio di riguardo alla salute fisica e mentale delle persone costituisce un elemento sempre più vincente nelle strategie di talent attraction delle aziende.

“L’attenzione al proprio benessere è ormai fondamentale per tutti i lavoratori, che da qualche tempo non sono più disposti a scendere a compromessi – aggiunge Giacomo Grilli, di Ab lavoro -. Le aziende, se non vogliono perdere le risorse migliori, dovranno necessariamente iniziare a tenere in grande considerazione queste nuove necessità e cercare, per quanto possibile, di curare il benessere dei propri dipendenti”.

Pianificare il rientro, organizzare il lavoro, mantenere i buoni propositi professionali

Ecco allora qualche consiglio per combattere lo stress da rientro. Anzitutto, se possibile, cercare di non rientrare il lunedì, ma i giorni successivi. In questo modo, la settimana si accorcia e si ha la sensazione di avere più tempo a disposizione e riprendere le attività con gradualità.
Prima di staccare preparare una lista delle attività in ordine di priorità da svolgere una volta rientrati. Un quadro preciso di ciò che ci aspetta sarà utilissimo per evitare ansie e stress inutili.

Inoltre, evitare di fissare appuntamenti importanti durante i primi giorni di lavoro, e se per molti gennaio è un ottimo momento per riflettere sulla propria carriera, rivedere il cv, aggiornare il proprio profilo Linkedin o valutare altre opportunità lavorative.

Coltivare le buone relazioni e staccare (davvero) la spina

Al rientro, è fondamentale continuare a curare la propria presenza online e allargare il proprio network, così da aumentare le opportunità di sviluppo di carriera.
Coltivare buone relazioni con i colleghi, anche fuori dall’ufficio: cercare occasioni di incontro informali o di svago può aiutare a ridurre lo stress da rientro.

Durante le ferie regalarsi del tempo per attività che la routine quotidiana impedisce di fare ricarica poi le energie. Spostare la mente, anche solo temporaneamente, dagli impegni lavorativi, consente di tornare con maggiore carica e lucidità.
Ultimo consiglio, come riporta Adnkronos: fare in modo che ogni giorno contenga una piccola vacanza (anche metaforica). Una piccola occasione di relax quotidiana contribuisce infatti a rendere il ritorno alla routine meno stressante.