Autore: Fabrizio Gambetta

A dicembre 2023 in aumento fiducia di imprese e consumatori 

È in atto un diffuso miglioramento delle opinioni dei consumatori, soprattutto sulla situazione economica generale e sulla situazione futura.
L’evoluzione positiva è evidenziata dai quattro indicatori calcolati mensilmente dall’Istat a partire dalle stesse componenti del clima di fiducia.

A dicembre 2023 il clima economico e quello futuro registrano gli incrementi più consistenti, il primo passa infatti da 111,0 a 118,6 e il secondo da 109,3 a 113,5, il clima corrente aumenta da 99,8 a 102,2 e il clima personale sale da 101,2 a 102,8.
Per l’ultimo mese dell’anno l’Istat stima in generale un aumento sia del clima di fiducia dei consumatori, il cui indice in media cresce da 103,6 a 106,7, sia dell’indicatore composito del clima di fiducia delle imprese, che sale da 103,5 a 107,2.

Cresce la fiducia in tutti i comparti, tranne la manifattura

Con riferimento alle imprese, l’Istat segnala un miglioramento della fiducia, seppur con intensità diverse, in tutti i comparti a eccezione della manifattura. Più in dettaglio, nei servizi di mercato si registra un marcato aumento, con l’indice che passa da 96,7 a 106,4, nelle costruzioni e nel commercio al dettaglio l’incremento è più contenuto (l’indice cresce, rispettivamente, da 161,3 a 162,9 e da 107,5 a 107,8), mentre si stima un peggioramento della fiducia nella manifattura: qui l’indice diminuisce da 96,6 a 95,4.

Quanto alle componenti degli indici di fiducia, nella manifattura giudizi sugli ordini e sulle scorte di prodotti finiti risultano sostanzialmente stabili rispetto al mese scorso, ma si abbinano ad attese di produzione in deciso peggioramento.
Indici di sfiducia: attese di produzione in deciso peggioramento per il manifatturiero

Commercio al dettaglio: nella GDO giudizi sulle vendite positivi, attese in diminuzione

Nelle costruzioni invece si stima un miglioramento di tutte le componenti, mentre nei servizi di mercato si evidenzia un deciso miglioramento dei giudizi sugli ordini e sull’andamento degli affari. Anche le attese sugli ordini aumentano, ma l’incremento del saldo è meno consistente rispetto ai giudizi.

Con riferimento al commercio al dettaglio, l’Istat stima una dinamica estremamente positiva per i giudizi sulle vendite, mentre le relative attese sono in diminuzione.
Tale evoluzione, secondo l’Istat è determinata dalla grande distribuzione, mentre nella distribuzione tradizionale opinioni negative sulle vendite si uniscono a un aumento delle relative attese. Quanto alle scorte di prodotti finiti, sono giudicate in decumulo.

“Generale miglioramento di tutte le variabili che compongono l’indicatore”

“A dicembre, il clima di fiducia delle imprese torna ad aumentare dopo quattro mesi consecutivi di riduzione e raggiunge il livello più elevato dallo scorso luglio – segnala l’Istituto, come riferisce Il Sole 24 Ore -. L’aumento dell’indice è determinato dal comparto dei servizi e da quello delle costruzioni. L’indice di fiducia dei consumatori aumenta per il secondo mese consecutivo e si riporta, anch’esso, sul livello di luglio 2023. Si segnala un generale miglioramento di tutte le variabili che compongono l’indicatore a eccezione dei giudizi sull’opportunità di risparmiare nella fase attuale, che rimangono sostanzialmente stabili rispetto al mese scorso”.

Inflazione e aumento dei prezzi: italiani ancora preoccupati

Secondo l’Ipsos Global Inflation Monitor l’Italia è il Paese europeo dove cittadini e cittadine lamentano maggiormente difficoltà nella gestione delle proprie finanze.

Secondo l’ultima edizione di ‘What Worries the World’, l’indagine mensile di Ipsos sulle principali preoccupazioni su questioni sociali e politiche in 29 Paesi, anche nel contesto globale la preoccupazione per gli aumenti non sembra diminuire. Per il 20° mese consecutivo, a dicembre 2023, l’inflazione infatti è la prima preoccupazione per il 38% dei cittadini a livello globale, una percentuale in diminuzione di un solo punto rispetto a ottobre 2023.

Un disallineamento tra accadimenti e aspettative

La preoccupazione per l’inflazione in Italia rimane quindi elevata, e se si considera la soddisfazione della propria condizione economica, il Paese si presenta diviso in due.
Considerando che una persona su quattro crede che a una diminuzione del tasso di inflazione corrisponda una diminuzione dei prezzi, risulta evidente come sia difficile giungere a una situazione di allineamento tra accadimenti e aspettative.

Per i consumatori insoddisfatti della propria condizione economica si acuiscono fattori che tendono a diventare strutturali, come un aumento delle spese fisse e una diminuzione delle entrate, sia reale o percepita se parametrata al costo della vita.

Le promozioni continuano a sostenere i consumi

In generale, gli aumenti dei prezzi continuano a incidere molto sui consumi considerati comprimibili.
Le persone non vedono soddisfatta la loro aspettativa di una riduzione della quota di reddito dedicata a spese energetiche e spese fisse (mutui, affitti, ecc.). Ma in questo contesto, il carrello della spesa non modifica la sua composizione in termini di prodotti, bensì diminuisce il suo valore.

Nel corso del tempo la ricerca delle promozioni rimane la scelta per eccellenza per sostenere i propri consumi.
Con l’obiettivo di risparmiare, i consumatori adottano molteplici strategie per le diverse categorie di prodotto. Prima di ridurre o rinunciare del tutto agli acquisti cambiano i luoghi di acquisto favorendo discount e web, e fanno scorta di prodotti in promozione.

Le aziende speculano sugli aumenti dei prezzi?

L’ultima rilevazione dell’Osservatorio Inflazione registra un’ulteriore crescita della convinzione che oggi gli aumenti dei prezzi inizino a essere speculativi soprattutto da parte delle aziende produttrici.
Migliora, invece, la percezione nei confronti della distribuzione. Il carrello tricolore sembra avere avuto un ruolo nel sostenere l’immagine dei retailer.

Al contrario, non gioca a favore della produzione il fenomeno della shrinkflation, la pratica di ridurre il packaging e il contenuto dei prodotti, ma senza una relativa diminuzione di prezzo. Un fenomeno ormai sperimentato da sette persone su dieci, in particolare, sui prodotti abituali.

Fine del mercato tutelato di luce e gas: e ora cosa accadrà?

Si sta avvicinando un importante cambiamento per gli italiani. La fine del mercato tutelato di luce e gas nel nostro Paese è stata fissata al 10 gennaio 2024 per il gas e al 1° aprile 2024 per l’energia elettrica.

A partire da queste date, gli utenti dovranno scegliere un fornitore nel mercato libero, e dovranno dire addio al regime a prezzi regolamentati stabiliti dall’Arera, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente.
In ogni caso, la transizione dal mercato tutelato a quello libero non comporterà una interruzione immediata delle forniture a coloro che non effettueranno la scelta in tempo.
Chi non effettuerà in tempo la scelta tra i fornitori nel mercato libero verrà incluso nel servizio a tutele graduali.

Proroga: una questione ancora in sospeso

Secondo Arera, la tutela di prezzo per i clienti domestici non vulnerabili di gas naturale (ovvero, famiglie e condomini) terminerà a gennaio 2024, mentre per quelli di energia elettrica a partire da aprile 2024.

Le microimprese utenti di energia elettrica hanno invece già concluso il passaggio ad aprile 2023.
Una questione ancora in sospeso riguarda la possibilità di una proroga. Nonostante non ci siano ancora conferme ufficiali, diverse voci politiche hanno espresso la volontà di estendere il termine.
Vannia Gava, la viceministra dell’Ambiente, ha infatti dichiarato: “Prevedremo una proroga di qualche mese. Stiamo lavorando in questa direzione”.

“Un approfondimento serio, tecnico, realistico sulle modalità di uscita”

Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha aggiunto: “Stiamo lavorando non tanto a un percorso giuridico di proroga, ma a un approfondimento serio, tecnico, realistico sulle modalità di uscita. Il nostro dovere è che la fine del mercato tutelato sia più liscio, informato e semplice possibile – spiega il ministro -. Sto aspettando che gli operatori e Arera mi diano tutti gli elementi di quello che può essere un percorso tecnico di attuazione”.

Sono oltre 10 milioni le utenze domestiche da migrare verso il mercato libero

Ma, continua il ministro Pichetto Fratin, “Non è una proroga giuridica, ma è un ragionamento che stiamo facendo con dei tempi certi, che diano la garanzia di informazione alle famiglie e di rapporto con le banche”.

Dal canto loro, con oltre 10 milioni di utenze domestiche da migrare, le associazioni dei consumatori stanno esercitando pressione per ottenere una proroga.
Tuttavia, fino a nuove comunicazioni, le date da tenere a mente rimangono il 10 gennaio 2024 per il gas e il 1° aprile 2024 per l’elettricità.

Banche etiche versus banche convenzionali: investire green è più redditizio

Secondo uno studio condotto da Fondazione Finanza Etica, Fundación Finanzas Éticas e Federazione Europea delle Banche Etiche e Alternative (Febea) le banche etiche europee mostrano una redditività superiore rispetto alle banche convenzionali.
In particolare, durante un arco temporale di 10 anni (2012-2021) la redditività del capitale proprio (ROE) delle banche etiche è risultata in media del 5,23%, rispetto al 2,21% delle banche convenzionali.

Anche la redditività degli attivi (ROA) è risultata più elevata, con una media dello 0,46% contro lo 0,25% delle banche convenzionali.
Insomma, grazie a un modello di business eticamente orientato la finanza etica si propone di influenzare positivamente il sistema finanziario mainstream globale. Le performance delle banche etiche mostrano che è possibile vincere le sfide economiche, sociali e ambientali, senza rinunciare a redditività, adeguatezza patrimoniale e performance finanziaria.

No a finanziamenti a filiere dannose per la società e l’ambiente

Le banche etiche mantengono nel tempo una forte capitalizzazione nel tempo, con un rapporto tra patrimonio netto e passività totali che si attesta in media all’8,2%, e presentano differenze strutturali rispetto alle banche convenzionali, focalizzandosi maggiormente sulle attività bancarie tradizionali, soprattutto sul credito.

Inoltre, le banche etiche mostrano un impegno concreto nell’approccio ecologico e sociale, investendo in metriche avanzate per misurare le emissioni di gas serra e adottando politiche che escludono finanziamenti a filiere dannose per l’ambiente e il clima.
Il rapporto sembra quindi sottolineare il successo e l’efficacia del modello di finanza etica nell’affrontare le sfide contemporanee e propone una visione positiva sul suo impatto potenziale nel sistema finanziario globale.

Prestiti più sostenibili e responsabili

Le differenze tra banche etiche e banche convenzionali non sono solo in termini di redditività, ma anche in relazione alla gestione della liquidità e alla solidità patrimoniale.
La prudenza nella gestione della liquidità sembra essere un elemento distintivo delle banche etiche rispetto alle loro controparti convenzionali.
Nei confronti delle banche etiche, la principale fonte di liquidità è rappresentata dai depositi dei clienti, contribuendo all’81,1% delle passività totali.

Al contrario, le banche convenzionali dipendono da diverse fonti di liquidità, il che si traduce in un rapporto depositi/patrimonio netto inferiore rispetto alle banche etiche.
Quanto al rapporto prestiti/depositi (LDR), nelle banche etiche si mantiene stabile e inferiore (tra 77%-81,5% vs 86%-102,5%), che riflette appunto una gestione più prudente della liquidità e una focalizzazione sull’erogazione di prestiti in modo sostenibile e responsabile.

Un approccio olistico e integrato

Le banche convenzionali europee sembrano non aver intrapreso una vera transizione ecologica nel loro modello di business.
Sebbene offrano singoli prodotti ‘verdi’ sono accusate di rimanere orientate al massimo profitto. Si evidenzia che dal 2016 al 2022, queste banche hanno finanziato i combustibili fossili con oltre 5 miliardi di euro, mentre solo il 7% dei loro finanziamenti energetici è stato destinato alle energie rinnovabili.

Le banche etiche, al contrario, adottano un approccio olistico e integrato, e si distinguono per il loro impegno a non finanziare l’industria bellica.

Lavoro, flessibilità è la parola chiave 

Littler, il più grande studio di diritto del lavoro, ha recentemente pubblicato il suo sesto rapporto annuale, l’European Employer Survey Report. Dopo aver coinvolto quasi 800 HR manager e imprenditori in tutta Europa, il sondaggio rivela le soluzioni adottate dai datori di lavoro di fronte ai cambiamenti culturali nella gestione del rapporto di lavoro. Quale strategia chiave emerge con evidenza? La flessibilità innanzitutto.

Lavoro ibrido, una tendenza destinata a durare  

Dopo anni di sconvolgimenti e incertezze, i luoghi di lavoro in tutta Europa stanno definendo un nuovo modo di operare, con modelli flessibili e ibridi destinati a durare anche nel futuro. Nel 2023, il 30% dei datori di lavoro sceglie il lavoro completamente in presenza, mentre la maggioranza (il 58%) adotta modelli ibridi che consentono una parziale presenza in ufficio. Questo trend rimane simile all’indagine del 2022, indicando una stabilizzazione delle nuove modalità di lavoro.

Italia in transizione e differenze con gli altri Paesi

In Italia, il 33% dei datori di lavoro richiede ai dipendenti di essere completamente in ufficio nel 2023, rispetto al 52% dell’anno precedente. Il 44% ora offre modelli ibridi, riflettendo un allineamento alle preferenze dei dipendenti verso una maggiore flessibilità e un corretto life-work balance.
E nel resto del Vecchio Continente? La Germania spicca nell’analisi con solo il 22% delle aziende che impone il ritorno in ufficio. L’Italia mostra un atteggiamento aperto all’innovazione, con il 76% che utilizza l’IA predittiva e il 78% quella generativa, superando Francia e Germania.

Sfide legali, operative e pratiche 

Quasi la metà degli intervistati (48%) permette ai dipendenti di lavorare da remoto anche dall’estero, mentre il 38% considera una settimana lavorativa di quattro giorni. Queste scelte, sebbene innovative, portano con sé notevoli sfide legali, operative e pratiche. Mentre il 61% degli intervistati dichiara di utilizzare strumenti di AI predittiva nell’HR, il 39% evita ancora di farlo. In Italia, il 76% utilizza l’AI predittiva, evidenziando un approccio aperto rispetto a Francia e Germania.
Inoltre il 75% dei datori di lavoro trova impegnativo gestire le aspettative relative alle questioni sociali e culturali poste dai dipendenti. Le questioni legali sul luogo di lavoro sono una preoccupazione chiave per il 64% degli intervistati, con l’Italia al 70%.

Gli altri temi “caldi” 

Il rapporto approfondisce anche temi cruciali come la salute mentale, le direttive Ue sulla trasparenza delle retribuzioni, la protezione dei whistleblower e le iniziative ambientali, sociali e di governance (ESG). Presentato durante la Littler 2023 European Executive Employer Conference ad Amsterdam, il rapporto offre un’analisi dettagliata delle tendenze europee.

Carovita, si “taglia” anche sul consumo di vino

Gli effetti della crisi economica si fanno sentire anche nel settore vinicolo italiano. Nei primi otto mesi di quest’anno, le quantità di vini fermi e frizzanti italiani acquistati nei principali 12 mercati internazionali (quelli che costituiscono oltre il 60% delle importazioni mondiali di vino) hanno subito una contrazione dell’8%. Gli spumanti, che avevano registrato una crescita costante nell’ultimo decennio, hanno visto una diminuzione del 9%.

Queste variazioni seguono una tendenza negativa che coinvolge molti paesi esportatori, incluso il primo mercato di sbocco italiano, gli Stati Uniti, che ha ridotto le importazioni di vino italiano del 13%.

Le esportazioni registrano un calo

Gli Stati Uniti e i mercati internazionali sono stati oggetto di un’analisi approfondita nel contesto del X Forum Wine Monitor, organizzato da Nomisma e arricchito dai contributi di esperti del settore come Federico Zanella, Presidente & CEO di Vias Imports, e Lamberto Frescobaldi, Presidente della Marchesi Frescobaldi.

Negli Stati Uniti, la riduzione della spesa media dei consumatori ha colpito tutti i principali esportatori di vino, tranne la Nuova Zelanda, che ha registrato una crescita delle esportazioni del 20% nei primi otto mesi di quest’anno grazie al suo Sauvignon Blanc.

Meno brindisi anche sul mercato interno

Anche sul mercato interno italiano, la situazione non è rosea. Le vendite di vino al dettaglio hanno registrato una contrazione del 2% a settembre, con una diminuzione più significativa nei supermercati per i vini fermi (-3,8%). Le uniche eccezioni sono gli acquisti di spumante, che sono cresciuti del 2,3%, ma questa crescita nasconde una tendenza alla sostituzione con spumanti generici a scapito di quelli a denominazione, Doc e Docg.

Le previsioni sui consumi futuri degli italiani non sono positive, con il 16% dei consumatori che prevede di ridurre gli acquisti di vino per risparmiare sulla spesa in generale. Questo colpisce soprattutto le piccole imprese vinicole, che spesso affrontano problemi finanziari a causa di pesanti indebitamenti, aggravati dalla stretta sui tassi di interesse. Queste piccole imprese rappresentano l’85% delle aziende vinicole e quasi il 50% degli addetti del settore.

Per i produttori la vera sfida è l’internazionalizzazione

Tuttavia, non è solo una questione di situazione finanziaria. Un’indagine condotta da Wine Monitor ha rivelato che le imprese vinicole italiane ritengono fondamentale pianificare strategie, ottimizzare i processi produttivi e cercare l’internazionalizzazione come risposta alle sfide attuali.
Un punto positivo è la chiusura dei negoziati sul nuovo regolamento europeo riguardante le indicazioni geografiche, Dop e Igp. Questo regolamento garantirà una maggiore protezione per i vini italiani a indicazione geografica sul mercato europeo e metterà fine alle “copie”, proteggendo così le eccellenze enologiche italiane.

Boom di attacchi ransomware nel 2023: come difendersi?  

Nella prima metà del 2023, in tutto il mondo si è registrato un notevole incremento degli attacchi ransomware, con una crescita addirittura del 27%. Questi fenomeni hanno avuto costi pesanti: si stima che abbiano provocato una perdita media di 365.000 dollari per le aziende coinvolte.
Christian Maggioni, executive managing director & equity partner di Altea 365 e chief information security officer di Altea Federation, ha indicato alcune raccomandazioni  per limitare il rischio sempre più frequente di subire un attacco ransomware.

Abilitare l’autenticazione a più fattori (MFA)

Un passo essenziale nella difesa contro gli attacchi ransomware è l’implementazione dell’autenticazione a più fattori (MFA). Questa misura di sicurezza aggiuntiva rende più difficile per i malintenzionati accedere ai sistemi, richiedendo una seconda forma di verifica oltre alle credenziali di accesso.

Creare copie di backup in formati diversi

È fondamentale avere un solido piano di backup. L’esperto consiglia di creare almeno tre copie di backup dei dati aziendali in due formati di file diversi. Questo approccio garantisce che, in caso di attacco ransomware, i dati possano essere ripristinati senza dover cedere al riscatto.

Effettuare gli aggiornamenti  

Mantenere sistemi operativi e software costantemente aggiornati è un’ottima pratica per mitigare i rischi di sicurezza. Gli aggiornamenti spesso contengono patch per vulnerabilità note e migliorano la sicurezza complessiva dei sistemi.

Verificare le email prima di aprirle

Le email sono spesso veicoli per gli attacchi di phishing. È fondamentale istruire i dipendenti a verificare attentamente le email prima di aprirle o fare clic su link o allegati. L’attività di verifica può prevenire l’apertura di email dannose o fraudolente.

Come gestire un attacco informatico 

In caso di richiesta di riscatto dopo un attacco ransomware, è importante mantenere la calma. La presenza di un sistema di backup affidabile consente un rapido ripristino dei dati senza dover pagare un riscatto.

Quali sono i 5 principali pericoli nel 2024?

Un nuovo report riportato da Infosecurity Magazine evidenzia i principali pericoli che le aziende dovranno affrontare nel 2024 in relazione agli attacchi informatici. Gli attacchi ransomware rappresentano una delle principali minacce. I malintenzionati bloccano i file aziendali con chiavi criptografiche complesse e chiedono un riscatto in criptovaluta per il ripristino.
Gli attacchi di phishing sono comuni, ma ancor più pericoloso è il BEC, dove i criminali assumono il controllo di caselle di posta elettronica per condurre truffe finanziarie. Il Denial of Service (DoS)è un tipo di attacco che impedisce alle aziende di erogare i propri servizi ai clienti ed è temuto, in particolare, da istituzioni e organi di informazione. Spesso trascurato, l’atto di esfiltrare dati comporta rischi significativi. I dati rubati possono essere utilizzati per frodi ulteriori e portare a violazioni della privacy con conseguenti ammende fino al 4% del fatturato.

Le aziende dovrebbero essere vigili e attente a questa minaccia sottostimata. Infine, il quinto pericolo per le aziende è quello di non disporre internamente di professionisti della sicurezza informatica.

L’e-commerce spinge i negozi di vicinato a reinventarsi

La crescita dell’e-commerce in Italia, con una penetrazione che si attesta intorno al 12%, non è un fenomeno isolato rispetto alla perdita di posti di lavoro nei settori tradizionali. Al contrario, il commercio online ha incentivato i negozi tradizionali a sfruttare nuovi canali per rinnovarsi. Questo è il risultato di uno studio condotto dalla Fondazione De Gasperi, con il supporto di Amazon, presentato a Roma. Secondo la ricerca, il 71% dei consumatori ritiene che i negozi di vicinato che hanno abbracciato l’e-commerce abbiano migliorato la qualità e la quantità dei servizi offerti ai clienti grazie alla presenza di siti di vendita online. Inoltre, il 60% dei clienti apprezza di poter utilizzare i propri negozi di fiducia come punti di ritiro per gli acquisti online.

La rivoluzione nel settore del commercio

L’e-commerce sta trasformando il panorama commerciale in Italia, influenzando il modo in cui le aziende operano e come i consumatori effettuano i propri acquisti. Molte aziende stanno adottando strategie multicanale, combinando le vendite fisiche e digitali. 

La ricerca dimostra che le dinamiche occupazionali, in contrasto con le aspettative, non confermano un legame causale tra l’e-commerce e la perdita di posti di lavoro nei settori tradizionali. Negli ultimi 10 anni, fino all’arrivo della pandemia, il settore del commercio ha sperimentato una crescita, in coincidenza con la diffusione dell’e-commerce.

Un’opportunità e non una minaccia

L’e-commerce non è di per sé una minaccia, ma può rappresentare un’opportunità per le imprese. La ricerca mette in luce come l’occupazione nelle piccole e medie imprese segua dinamiche locali più che nazionali. L’aumento dell’1% della popolazione in un’area si traduce in un incremento dell’1,2% nell’occupazione nel settore commerciale. Nonostante il commercio elettronico rappresenti circa il 12% delle vendite totali, il commercio tradizionale continua a dominare il mercato, costituendo circa il 90% degli acquisti del settore.

Sostenibilità e impatto ambientale

L’e-commerce offre opportunità di ottimizzare i processi di distribuzione, riducendo il numero di clienti in circolazione e gli spostamenti inutili, contribuendo così a ridurre l’impatto ambientale e a migliorare la sostenibilità del settore commerciale.

Un trampolino di lancio per le imprese italiane

L’e-commerce rappresenta un trampolino di lancio per molte imprese italiane, soprattutto per le più piccole. È importante sfatare gli stereotipi che circondano l’e-commerce e riconoscerlo come un’opportunità di crescita. Può aprire nuovi mercati e favorire l’export dei prodotti italiani all’estero.

In conclusione, il commercio sta evolvendo inevitabilmente, ma è necessario unire le forze, pubbliche e private, per affrontare le sfide e sostenere lo sviluppo del settore, valorizzando il tessuto delle piccole e medie imprese italiane.

Esg: un vantaggio competitivo per imprese e istituzioni

L’integrazione delle tre dimensioni della sostenibilità (ambientale, sociale, economica) entra sempre più nei piani strategici delle imprese e delle istituzioni. La sostenibilità è strettamente connessa a temi concreti, come la competitività delle aziende. L’80% delle aziende quotate ha infatti sviluppato un piano di sostenibilità (+32% vs 2020), mentre l’83% pensa che ci sia un forte vantaggio competitivo nell’integrare i fattori Esg all’interno delle strategie aziendali. Questo vale anche per le istituzioni. Regione Lombardia, ad esempio, con il Programma regionale di sviluppo sostenibile (Prss), integra gli obiettivi di sostenibilità nella sua pianificazione strategica.
È quanto emerge dai dati di EY presentati durante il convegno organizzato da EY e Regione Lombardia dal titolo Sostenibilità ambientale, sociale ed economica: un confronto tra attori pubblici e privati.

Un connubio virtuoso per la sostenibilità ambientale

Uno degli aspetti critici che interessa trasversalmente tutte le dimensioni della sostenibilità, più ancora della necessità di investimenti, è l’execution, ovvero, la creazione delle condizioni ideali per ‘fare le cose’, dalla semplificazione normativa allo sviluppo di competenze adeguate.
In tema di sostenibilità ambientale, poi, una delle chiavi per poter accelerare la transizione green è l’innovazione. Smart city, riqualificazione degli edifici, economia circolare, mobilità sostenibile, sono al centro del dibattito tra istituzioni e imprese, che possono agire in un connubio virtuoso in grado di generare benefici per le realtà produttive stesse, l’ambiente e la collettività.

Formazione ed empowerment per la sostenibilità sociale

Anche in ambito di sostenibilità sociale le aziende possono fare molto. Prima di tutto, investendo sul capitale umano e sui giovani, affrontando la formazione, l’empowerment e la sensibilizzazione sui temi Esg, in modo che ciascuno possa operare scelte più responsabili e sostenibili sul lavoro e nella vita privata. In questo senso, diverse realtà aziendali stanno mettendo in campo attività di corporate social responsability, anche attraverso le fondazioni d’impresa, come nel caso di EY Foundation e Fondazione Teatro alla Scala, che con i loro progetti coinvolgono in prima persona dipendenti e collaboratori.

La sfida della sostenibilità economica

La sostenibilità rappresenta una grande opportunità per attrarre investimenti anche tra le Pmi, che spesso sono più aperte al cambiamento.
“L’Italia esercita una forte attrattiva nei confronti dei fondi di investimento, e attualmente ci sono circa 1.300 aziende partecipate da fondi di private equity e venture capital”, afferma Anna Gervasoni, direttore generale Aifi.
L’impatto della sostenibilità sugli investimenti si delinea quindi come una grande sfida. “Dobbiamo essere rapidi a cogliere le opportunità, per fare in modo che la sostenibilità diventi una grande occasione per crescere – aggiunge Luca Felletti, responsabile finanziamenti agevolati, Intesa Sanpaolo -. In questo processo la finanza deve essere un acceleratore per contribuire a rendere le aziende più competitive”.

Mercato bio italiano: crescono superfici coltivate, vendite, export

L’Italia, con oltre 2,3 milioni di ettari e la più alta percentuale di superfici bio sul totale (19% contro una media europea ferma al 12%), è ormai vicina target del 25% di superfici investite a bio, previsto dalla Strategia Farm to Fork per il 2030. Positive poi anche le performance del mercato interno, grazie al traino dei consumi fuori casa (ristorazione commerciale e collettiva) e a una ripresa a valore dei consumi domestici, nonché le vendite all’estero. Sono alcuni dati rilevati dalla ricerca Nomisma presentata in occasione della prima giornata di Rivoluzione Bio 2023, gli Stati generali del biologico, organizzati in collaborazione con FederBio e AssoBio, realizzati con Nomisma, nel quadro del progetto cofinanziato dall’Ue BEING ORGANIC IN EU.

Le dimensioni del mercato interno

Nel 2022 le vendite alimentari bio nel mercato interno (consumi domestici e consumi fuori casa) hanno superato 5 miliardi di euro, il 4% delle vendite al dettaglio biologiche mondiali.
A trainare la crescita anche quest’anno i consumi fuori casa, che sfiorano 1,3 miliardi di euro (+18% sul 2022). Fondamentale però è la ripresa dei consumi domestici, che, dopo la leggera flessione del 2022 (-0,8% a valore rispetto al 2021), registrano una variazione del +7%. La crescita è da collegare soprattutto alla spinta inflazionistica dell’ultimo anno, confermata dal calo dei volumi in Grande Distribuzione (-3% le confezioni di prodotti bio vendute rispetto allo stesso periodo del 2022).

Export: +8%

Positiva anche quest’anno poi la performance dell’export di prodotti agroalimentari italiani bio, che raggiunge i 3,6 miliardi di euro nel 2023, segnando una crescita del +8% (anno terminante luglio) rispetto all’anno precedente. Nonostante si registri una crescita più contenuta rispetto allo scorso anno, comunque in linea con l’export agroalimentare nel complesso, il riconoscimento per il bio Made in Italy sui mercati internazionali risulta rafforzato dall’evoluzione di lungo periodo (+189% rispetto al 2013) e dal crescente ruolo del bio sul paniere dei prodotti Made in Italy esportati: il peso nel 2023 ha raggiunto oggi il 6% a fronte del 4% registrato dieci anni fa.

I prodotti si scelgono principalmente in base all’origine

Chi acquista bio sceglie principalmente in base all’origine: il 29% seleziona prodotti bio 100% italiani, un ulteriore 17% quelli di origine locale/km 0 e l’11% cerca l’ulteriore presenza del marchio DOP/IGP. Anche la marca gioca da sempre un ruolo fondamentale nella scelta dei prodotti bio da mettere nel carrello: l’8% preferisce la marca industriale e il 7% la marca del supermercato.
Ma perché il consumatore acquista prodotti bio? Innanzitutto perché li ritiene più sicuri per la salute rispetto a un prodotto convenzionale (27%), ma anche perché sono sostenibili. Il 23% li ritiene più rispettosi dell’ambiente, il 10% del benessere animale e un ulteriore 10% fa riferimento alla sostenibilità sociale e intende sostenere i piccoli produttori.