Mese: Marzo 2024

Cinquecentomila abbandonano la scuola, ma “solo” 55.500 i cervelli in fuga

In Italia nel 2022 i giovani che hanno abbandonato la scuola prematuramente sono stati 465.000, l’11,5% della popolazione tra 18-24 anni, mentre i cosiddetti “cervelli in fuga” dal nostro Paese per trasferirsi all’estero sono stati 55.500. 
Di fatto, i primi sono 8 volte in più dei secondi, ma mentre la dispersione scolastica non è ancora avvertita come una piaga educativa dal costo sociale spaventoso, la fuga all’estero di tanti giovani lo è.

Se a queste specificità che caratterizzano il mondo giovanile si aggiungono la crisi demografica e la rivoluzione digitale, tutto ciò avrà inevitabili ricadute anche per le imprese.
Con sempre meno giovani, di cui molti con un livello di istruzione insufficiente, per tante Pmi trovare personale preparato sarà una missione impossibile. Lo sostiene l’Ufficio studi della CGIA. 

Abbiamo pochi diplomati e laureati 

L’Italia, rispetto ai principali Paesi dell’Unione, nel campo dell’istruzione/formazione scolastica presenta due problemi. Il primo è dovuto a un basso numero di diplomati e laureati, soprattutto in materie scientifiche.
L’interesse per l’AI varia tra i settori. Il secondo, riguarda un’elevata povertà educativa che secondo gli esperti, va di pari passo con la povertà economica.

Le cause che determinano la “fuga” dai banchi di scuola sono principalmente culturali, sociali ed economiche. 
I ragazzi che provengono da ambienti socialmente svantaggiati e famiglie con basso livello di istruzione hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola prima di aver completato il percorso di studi che li porta a conseguire almeno il diploma di maturità. 

Più risorse a sostegno degli istituti professionali 

Va altresì segnalato che talvolta, l’abbandono scolastico può essere causato da una insoddisfazione per l’offerta formativa disponibile.
In questo, senso si sottolinea il lavoro inclusivo svolto dagli istituti di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), realtà diventate nel tempo un punto di riferimento per gli allievi di nazionalità straniera, per quelli con disabilità e per gli studenti reduci da insuccessi scolastici precedenti.

Scuole che spesso operano in aree caratterizzate da un forte degrado urbano e sociale, ma che grazie allo straordinario lavoro antidispersivo svolto, andrebbero sostenute con maggiori risorse. 

La situazione più critica al Sud 

A livello territoriale sono le regioni del Sud che presentano i livelli di abbandono scolastico più elevati. Pertanto, dal confronto tra la dispersione scolastica e la “fuga di cervelli” è la Campania a presentare il gap più elevato (la prima è numericamente 16 più grande della seconda). Seguono Puglia e Sicilia (14), e Toscana e Sardegna (8). 

Sebbene la fuga dai banchi di scuola sia in calo in tutta Europa, tra i 20 Paesi dell’Eurozona nel 2022 l’Italia era al terzo posto per abbandono scolastico dei giovani tra 18 e 24 anni (11,5%). Solo la Spagna (13,9%) e la Germania (12,2%) presentavano un risultato peggiore del nostro (media dell’area Euro 9,7%).

Beni di consumo: 187 miliardi di fatturato, +5,2% nel 2023

È quanto emerge dal nuovo Barometro dei Consumi di NIQ: nel 2023 la spesa degli italiani per i beni di largo consumo e i beni tecnologici e durevoli è aumentata del 5,2% rispetto al 2022, per un fatturato complessivo di 187 miliardi di euro.

L’aumento è stato determinato in particolare dalla crescita del prezzo dei prodotti alimentari e per la cura della persona, mentre le famiglie sono rimaste più caute nelle spese di alcuni prodotti T&D (beni di consumo tecnologici, elettrodomestici, fai da te).
Il Barometro dei Consumi combina i dati di NIQ e GfK, e offre una panoramica completa della spesa nel settore FMCG (prodotti alimentari, deperibili, cura della casa e della persona) e nel settore T&D.

La crescita si deve all’aumento a doppia cifra dei prezzi

Nel 2023, nel settore del largo consumo, si è registrata una crescita del fatturato senza precedenti che ha superato i 134 miliardi di euro, +7,9% rispetto al 2022, alimentato principalmente dall’aumento a doppia cifra dei prezzi.

Nonostante l’inflazione abbia eroso il potere d’acquisto dei consumatori, i beni di prima necessità hanno mantenuto un livello stabile di vendite a volume, con una modesta flessione del -1,7% (nel perimetro dei prodotti confezionati). Secondo il Barometro dei Consumi, le categorie che hanno mostrato le performance migliori sono state il settore alimentare, con un aumento dell’8,9% e un giro d’affari di 82 miliardi di euro nel 2023, e il fresco, +8,2%.
Anche i prodotti per la cura della casa e della persona hanno registrato una solida crescita, pari a +7,0%.

L’effetto inflazione sulle vendite

Analizzando i dati trimestrali, emerge come l’effetto dell’inflazione, con un valore medio dell’11,3% nel 2023, sia stato più pronunciato nei primi sei mesi dell’anno.

Ciò ha contribuito a spingere le vendite, in crescita rispettivamente del 9,2% nel primo trimestre e del 9,8% nei mesi di aprile, maggio e giugno. Successivamente, l’inflazione si è stabilizzata, con una crescita delle vendite più moderata (+7,8%) nel terzo trimestre.
Nei mesi di ottobre, novembre e dicembre, l’effetto dell’inflazione si è attenuato ulteriormente, toccando il punto più basso di crescita a valore, pari al 5,1%.

T&D: un anno di alti e bassi

Il mercato dei beni tecnologici e durevoli (T&D) in Italia nel 2023 ha attraversato un anno di alti e bassi e una lieve decrescita rispetto al 2022, registrando un fatturato di 53 miliardi di euro.
Il settore dell’Home Improvement, che comprende prodotti per il miglioramento della casa e l’arredamento, ha iniziato il 2023 con una crescita solida (+5,3%), ma ha chiuso l’anno con una flessione del -0,2%.

Il settore Technical Consumer Goods (TCG), che include elettronica di consumo, telefonia, IT, prodotti per l’ufficio, fotografia e altri beni tecnologici, ha sofferto un calo significativo nel 2023, pari a -5,4%.
Tuttavia, alcune sottocategorie, come gli elettrodomestici, hanno registrato una crescita positiva nel 2023, e il settore ha chiuso l’anno a 6 miliardi di euro (+3,2%).

Grandi aziende italiane, che livello ha raggiunto l’automazione dei processi?

Il 42% delle grandi aziende italiane attualmente utilizza sistemi di automazione dei processi, una percentuale che aumenta al 60% tra le imprese con più di 1.000 dipendenti. Tuttavia, solo il 15% di queste imprese ha implementato progetti di automazione intelligente dei processi, combinando tecniche tradizionali con funzioni di intelligenza artificiale. Tale percentuale cresce al 34% tra le grandissime realtà, ma scende al 10% in quelle grandi (con 250-999 addetti).

Nonostante il 61% delle grandi aziende abbia avviato progetti di Intelligenza Artificiale, la maggior parte di essi si concentra sulla costruzione di sistemi di supporto alle decisioni piuttosto che sull’automazione.

Le funzioni aziendali più coinvolte

La ricerca condotta dall’Osservatorio Intelligent Business Process Automation della School of Management del Politecnico di Milano rivela che, tra le aziende che hanno sperimentato l’Intelligent Automation, le funzioni aziendali più coinvolte sono Accounting, Finanza e Controllo, seguite da Operations, Sales e Customer Service. Solo il 15% delle grandi aziende italiane ha formalizzato il know-how per renderlo fruibile per sistemi automatici abilitati dall’IA.

La ricerca evidenzia inoltre che molte aziende stanno sperimentando progetti di AI in fase di “test”, e dunque non ancora pienamente integrati nei processi aziendali. Il Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, Giovanni Miragliotta, sottolinea che nonostante l’automazione dei processi di business sia un tema consolidato da circa dieci anni, le recenti capacità dell’Intelligenza Artificiale portano un nuovo livello di cambiamento. Un cambiamento ostacolato però da diverse barriere, tra cui l’integrazione di dati e tecnologie, le resistenze interne e la gestione delle reazioni dei clienti.

Il valore dei finanziamenti

La ricerca ha coinvolto 501 aziende attive nell’ambito dell’automazione dei processi a livello internazionale, che hanno ricevuto finanziamenti negli ultimi 20 anni, raccogliendo complessivamente 15 miliardi di dollari. Nel periodo dal 2014 al 2020, si è registrato un incremento significativo nel numero di aziende finanziate e nel valore dei contributi, con l’82% del totale dei finanziamenti raccolto tra il 2018 e il 2022.

L’adozione della business process automation può essere categorizzata in tre livelli incrementali: task-level, business process e business process reengineering. Questi livelli offrono diverse opportunità di valore per le organizzazioni e possono essere attivati in base alle esigenze specifiche.

Le soluzioni tecnologiche per l’automazione 

L’offerta di automazione dei processi comprende soluzioni tecnologiche come la Robotic Process Automation (RPA), con un’evoluzione verso funzionalità abilitate dall’Intelligenza Artificiale e dalla generative AI. L’importanza delle soluzioni di process intelligence, come task mining e process mining, è in crescita, anche se l’80% delle aziende che hanno automatizzato alcuni processi non ha utilizzato tali tecnologie.

Infine, l’Intelligenza Artificiale trova applicazione in diverse fasi di gestione e automazione dei processi aziendali, comprese categorie come business process management, sviluppo e funzionamento dell’automazione, interazione con l’automazione, automazione del processo e orchestrazione di più processi. Tuttavia, l’adozione di queste tecnologie è ancora in fase di sviluppo e la consapevolezza delle aziende riguardo alle opportunità offerte dall’IA è in continua crescita.