Mese: Ottobre 2022

Equilibrio tra lavoro in presenza e flessibilità: una missione (im)possibile?

L’evoluzione del mondo del lavoro genera una serie di nuove preoccupazioni tra le aziende, tra cui la più urgente sembra riguardare la definizione del limite entro cui è possibile richiedere il lavoro in presenza. È quanto emerge dalla quinta edizione del l’European employer survey, il report annuale di Littler, che mostra una spaccatura tra il desiderio di aumentare il lavoro in presenza e la garanzia di flessibilità necessaria per attrarre e trattenere i talenti. Per il 30% dei direttori hr e in-house lawyer europei l’azienda per cui lavorano ha effettuato un completo ritorno alla presenza, e per il 27% ha optato per una forma ibrida, con più giorni di lavoro in presenza e meno da remoto. Solo per l’11% prevale un orario con più giorni da remoto e meno in presenza, mentre per il 5% i dipendenti lavorano completamente da remoto.

Le aziende preferiscono il lavoro in presenza?

Sembra quindi che le aziende preferiscano il lavoro in presenza. Così ha dichiarato il 73% dei datori di lavoro, che stanno valutando la possibilità di ridurre il lavoro a distanza. Questo però si scontra con la riluttanza dei dipendenti a rinunciare alla flessibilità acquisita. Cresce comunque l’importanza di valutare i vantaggi generati da modalità di lavoro da remoto, che il 79% vuole aumentare per attrarre e trattenere i talenti. I motivi principali che spingono le aziende a richiedere un maggior numero di ore di lavoro in presenza riguardano il lavoro di squadra, in particolare, il mantenimento della cultura aziendale e del coinvolgimento dei dipendenti (53%).

Resta alta l’attenzione a salute mentale e benessere dei dipendenti

Indipendentemente dal modello di lavoro, resta alta l’attenzione a salute mentale e benessere delle risorse umane. Sebbene 9 intervistati su 10 abbiano adottato iniziative in questa direzione, solo il 28% lo ha fatto in maniera strutturata. Inoltre, quando si tratta di offrire una soluzione al burnout, la flessibilità oraria è stata l’unica misura adottata (54%), mentre meno di un terzo degli intervistati indica il lavoro individuale con i dipendenti per gestire i carichi di lavoro. La gestione del nomadismo digitale, poi, rappresenta un’altra nuova sfida. Un fenomeno in aumento, con il 73% delle aziende che dichiara di avere dipendenti ‘nomadi digitali’. Tra queste, l’89% è preoccupata per i rischi legali, le implicazioni fiscali e altri problemi occupazionali.

AI efficace per attrarre talenti, ma c’è cautela ad assumere

Per supportare le attività di recruiting e assunzione il 47% degli intervistati sta utilizzando o pianificando di utilizzare soluzioni tecnologiche o strumenti di AI. Inoltre, il 61% di coloro che già utilizzano tali strumenti ne ha incrementato l’utilizzo, sottolineando l’efficacia dell’AI e della tecnologia per attrarre nuovi talenti. Ma in un contesto di crescente incertezza economica, l’indagine rileva anche segnali di cautela da parte dei datori di lavoro europei, che tuttavia non sembrano ancora adottare misure drastiche. Circa un quarto (27%) esita nell’assunzione di nuove risorse, mentre il 37% sta valutando o attuando riduzioni di personale.

Lavoro: il Quiet Quitting mette in difficoltà le aziende

Stando agli ultimi dati pubblicati dall’Osservatorio sul Precariato dell’Inps, in Italia nel primo semestre 2022 oltre 1 milione di persone ha deciso di dare le dimissioni dal posto di lavoro. Rispetto al primo semestre 2021 le dimissioni sono cresciute del 31,73%, in parallelo a un incremento del 26% di assunzioni. Il fenomeno delle Grandi dimissioni continua quindi a essere centrale a livello nazionale. A livello internazionale, però, sembra che il fenomeno stia lasciando spazio a un nuovo trend, il Quiet Quitting. Trascorsa quindi l’onda più drastica della consegna delle dimissioni, ora molti lavoratori scelgono una via più lenta, senza tagli netti. Quiet Quitting significa infatti “lasciare lentamente”, ovvero, mollare la presa sul lavoro, limitandosi a fare lo stretto necessario.

Evitare lavoro extra, straordinari, reperibilità

“Il fenomeno del Quiet Quitting, seppur possa sembrare meno impattante rispetto a quello delle dimissioni di massa, non deve e non può essere trascurato dalle aziende – spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati -. Le persone che scelgono in modo razionale e sì, strategico, di mettere paletti chiari alla propria vita lavorativa iniziano con evitare il lavoro extra, gli straordinari, la reperibilità, smettendo del tutto di considerare la propria carriera lavorativa come una priorità. E questo, in uno scenario in cui fin troppo spesso le aziende contano proprio sugli extra, e sullo sforzo in più da parte dei dipendenti per raggiungere gli obiettivi prefissati, può ovviamente diventare un problema considerevole”.

Solo il 21% dei dipendenti globali è ancora coinvolto dal proprio lavoro

Al di là dei social network, dove l’hashtag #quietquitting continua a guadagnare popolarità, la concretezza del fenomeno è testimoniata dal report State of the global workplace 2022 di Gallup. Lo studio dice che se prima della pandemia l’engagement dei dipendenti nei confronti delle aziende fosse in continuo aumento a livello globale, oggi è invece stagnante o in flessione. Guardando ai numeri attuali, solamente il 21% dei dipendenti afferma di essere coinvolto dal proprio lavoro, un dato che in Europa scende al 14%.

Un fenomeno che riguarda soprattutto Millennial e Gen Z

“I numeri mostrano che il fenomeno del Quiet Quitting riguarda soprattutto i lavoratori delle generazioni Millennial e Z, ovvero la forza lavoro nata a partire dagli anni Ottanta, che rappresenta la parte più produttiva e più importante per lo sviluppo delle aziende – spiega Adami -. Se per evitare le dimissioni dei dipendenti le aziende sono chiamate a investire nella formazione degli assunti, a introdurre benefit e ad ascoltare le esigenze dei dipendenti, nel caso del Quiet Quitting l’attenzione va posta soprattutto sul dialogo, e sulla costruzione di un rapporto autentico ed empatico tra manager e membri del proprio team. Questo, perché un ambiente di lavoro sano e trasparente permette di ridurre il turnover e aumentare la propensione alla produttività”.