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Tech: dopo auto e GDO è il terzo settore più amato 

Quali sono i settori industriali preferiti dagli italiani? Risponde Omnicom PR Group, società di consulenza strategica in comunicazione, che nello studio dal titolo Post-Invasion 2022/2023 ha analizzato la reputazione di otto settori chiave dell’economia italiana. A questi otto settori, di cui lo studio approfondisce la differenza tra aspettative ed esperienze degli italiani, Omnicom PR Group ha associato 64 brand, valutati attraverso le “lenti” di oltre 2.000 consumatori. E il settore Tech, con il 42,6% dei consensi, è il terzo settore più amato in Italia tra gli otto analizzati, posizionandosi dietro ad Automotive (44,7%) e GDO (42,9%.

La chiave del successo della tecnologia 

Il periodo che va dall’inizio del 2020 ai primi mesi del 2022 ha visto letteralmente esplodere i fatturati delle aziende tecnologiche italiane di ogni dimensione. Ai notevoli successi economici del settore tecnologico, ridimensionati però a partire dalla seconda metà dello scorso anno, si è accompagnata anche una comunicazione che ha supportato efficacemente la percezione del settore. Le industrie attive nell’ambito Tech hanno infatti svolto un ruolo fondamentale durante le fasi più acute della pandemia, salvando letteralmente il business di molte aziende e garantendo una parvenza di normalità nelle relazioni sociali delle persone. Per questo motivo, il Tech risulta al secondo posto nella classifica del minor gap tra aspettative dei consumatori ed esperienza concreta.

Il gap tra aspettative ed esperienze dei consumatori 

La combinazione delle preoccupazioni per il conflitto in Ucraina, la crisi energetica e l’incremento dei prezzi di materie prime e beni a causa dell’inflazione porta, però, per la prima volta a relegare l’innovazione tecnologica fuori dalla top 3 delle priorità attese nei vari settori. Emerge infatti con prepotenza l’insufficiente attenzione che il settore dedica ai temi della sostenibilità ambientale, insieme a una accresciuta preoccupazione per la sicurezza e la tutela dei dati da parte del 51% degli italiani. Il Tech perciò è il settore in cui il gap tra le aspettative dei consumatori e le esperienze effettive offerte dai brand risulta minore, seppure rimanendo in territorio negativo. In generale, considerando tutti e 9 i driver, le aziende tecnologiche si classificano al secondo posto assoluto riguardo alla minore differenza tra aspettative ed esperienze.

“Coniugare azione e comunicazione per capitalizzare la centralità guadagnata”

“Se i brand Tech vogliano capitalizzare l’attenzione e la centralità guadagnate, e dar seguito alle impegnative promesse del periodo pandemico, devono agire coniugando azione e comunicazione – dichiara Eros Bianchi, OPRG Vice President e Tech Industry Lead di Omicom -. Ciò significa continuare a operare nella giusta direzione, come riconosciuto dai consumatori, focalizzandosi proprio su un’innovazione concreta e percepita, per poi comunicare in maniera chiara e maggiormente inclusiva quanto di positivo è stato fatto per cambiare in meglio la società e la quotidianità di tutti. In questo senso è fondamentale ingaggiare più efficacemente popolazioni come i giovani Millennials e la Generazione Z, ora poco interessate alle problematiche del settore, ma che rappresentano il suo futuro, sia come consumatori sia come potenziali professionisti”.

Cybersecurity: budget per sicurezza IT +10% nei prossimi tre anni

Secondo il report annuale It Security Economics di Kaspersky i budget It per la cybersecurity delle aziende europee sono destinati ad aumentare fino al 10% nei prossimi tre anni. Il crescente interesse delle aziende per la cybersecurity, dovuto all’aumento dell’uso delle tecnologie digitali e al panorama delle minacce in continua evoluzione, ha già portato a miglioramenti nella sicurezza informatica. E la crescente complessità dell’infrastruttura It, unita alla necessità di migliorare il livello di competenze specialistiche in materia di sicurezza e all’incertezza geopolitica/economica, sono i fattori principali che spingono le aziende europee di tutte le dimensioni a investire in cybersecurity.

Nel 2022 le Pmi hanno speso 140.000 euro

In Europa il budget medio dedicato alla cybersecurity nel 2022 è stato di 1.8 milioni di euro per le enterprise, con 6.30 milioni di euro stanziati per l’It in generale, mentre le Pmi hanno investito 140.000 euro nella sicurezza It, a fronte di un budget medio di 350.000 euro. Tra le ragioni che spingono ad aumentare i budget per la sicurezza informatica gli intervistati hanno evidenziato soprattutto la complessità dell’infrastruttura It (45,8% e Pmi e 53,7% enterprise) e la necessità di migliorare il livello di competenze specialistiche in materia di sicurezza (36,8% Pmi e 33,7% enterprise).

Potenziali nuovi rischi spingono gli investimenti

I potenziali nuovi rischi dovuti a una maggiore incertezza geopolitica o economica sono stati evidenziati come motivi di aumento degli investimenti dal 28,2% delle Pmi e dal 33% delle enterprise.
Il budget aggiuntivo si presume possa aiutare le aziende ad affrontare problemi più importanti legati alla sicurezza informatica. Quest’anno, la metà (50,9%) delle aziende ritiene che i problemi legati alla protezione dei dati siano i più complessi. La seconda preoccupazione, evidenziata dal 33,5% degli intervistati, è il costo della protezione di impianti tecnologici sempre più complessi, seguito dai problemi legati all’adozione di infrastrutture cloud (35,8%).

“La continuità aziendale dipende dalla sicurezza delle informazioni”

“La continuità aziendale dipende sempre dalla sicurezza delle informazioni – commenta Ivan Vassunov, VP, Corporate Products di Kaspersky. Al giorno d’oggi, quando le infrastrutture diventano più complesse e gli attacchi informatici più sofisticati, le aziende stanno diventando più consapevoli della cybersecurity e comprendono meglio la necessità di proteggere ogni asset all’interno dell’azienda. Le normative statali sono un altro fattore importante che influenza la crescita dei budget destinati alla sicurezza It. Queste aziende sono tenute a proteggere loro operazioni e i loro dati, a volte le autorità di regolamentazione impongono normative più stringenti per l’intero mercato verticale o per il settore”.

Come proteggere porte e finestre nella seconda casa

Sono tantissime le famiglie italiane che dispongono di una cosiddetta “seconda casa”, che quasi sempre è una abitazione in area rurale che viene abitata esclusivamente nel periodo estivo.

Queste abitazioni sono perfettamente arredate e arricchite di ogni comfort come per l’abitazione principale, con la sola differenza che queste case rimangono vuote per la maggior parte dell’anno e per questo motivo possono diventare oggetto di interessa da parte di malfattori vari per tutto ciò che viene custodito al loro interno.

Il problema delle seconde case in aree rurali

Come accennato, tali abitazioni sussistono prevalentemente in aree rurali o di campagna, o eventualmente direttamente nei pressi della spiaggia, con un grande svantaggio per circa 9 mesi l’anno: l’isolamento.

Nessuno o quasi infatti, si reca in tali aree disabitate durante l’Inverno o l’Autunno, e questo rendere il terreno certamente più “facile” ai malintenzionati.

Meno persone in giro significa infatti minori possibilità di essere scoperti, e dunque la possibilità di poter lavorare indisturbati o quasi.

D’altronde, quando una abitazione (e così anche quelle intorno) rimane disabitata per parecchi mesi all’anno, diventa inevitabilmente più vulnerabile e per questo rappresenta un obiettivo ritenuto “facile”.

Il sistema anti intrusione più adeguato

Ci sono a tal proposito alcune riflessioni da fare circa i sistemi anti intrusione da scegliere. Questi infatti, non vanno bene a prescindere, ma molto dipende dalle caratteristiche dell’abitazione nonché del contesto in cui essa si trova.

Ad esempio, in un ambito rurale come quello di una abitazione di campagna, un allarme di tipo acustico (ad es. una sirena che si attiva quando viene rilevato un movimento all’interno dell’appartamento) potrebbe non rappresentare poi un grande problema per i ladri.

In caso di abitazione alquanto isolata infatti, nessuno potrebbe sentire l’allarme suonare e per questo motivo i ladri potrebbero continuare a lavorare indisturbati.

Un impianto di videosorveglianza appare invece più sensato in un contesto di questo tipo, dato che il proprietario ha la possibilità di accorgersi del tentativo di effrazione da remoto, facendo in tempo a contattare le autorità.

Ad ogni modo, in quel momento i potenziali ladri potrebbero già aver scassinato porte o finestre, il che rappresenta comunque un danno economico da considerare.

A tal proposito allora, un sistema di inferriate per la porta principale e grate di sicurezza per le finestre rappresenta la soluzione più adeguata al contesto.

Inferriate e grate sono infatti un ostacolo fisico davvero difficile da superare, e che soprattutto impedisce ai malintezionati di fare qualsiasi tipo di danno all’interno dell’abitazione, impedendo di fatto l’accesso.

Tra l’altro, tali soluzioni sono difficili da attaccare e rappresentano di per se un ottimo deterrente, che solitamente induce i malintenzionati a spostare le proprie “attenzioni” su altre abitazioni che sono molto più “facili” da attaccare.

I vantaggi secondari di inferriate e grate di sicurezza

Inferriate e grate di sicurezza offrono anche alcuni interessanti vantaggi ai quali nell’immediato non si pensa.

In Estate ad esempio, quando si soggiorna all’interno dell’abitazione, è possibile dormire lasciando le serrande completamente aperte per consentire alla frescura notturna di entrare, senza alcun tipo di paura che eventuali intrusi possano accedere da porte o finestre approfittando del sonno.

Tra l’altro oggi queste soluzioni vantano anche un design ricercato e che ben si adatta ad ogni tipo di appartamento o edificio, offrendo così degli spunti interessanti anche dal punto di vista estetico.

È sufficiente scegliere tra i tanti modelli, finiture e colori a disposizione per individuare quello che maggiormente si adatti alle caratteristiche della propria abitazione, arricchendola così anche dal punto di vista estetico oltre ad offrire un livello di protezione e sicurezza decisamente più alto.

Italia, dopo quattro mesi torna a salire il clima di fiducia delle imprese

Puntuale come ogni mese, l’Istat ha monitorato anche per il mese di novembre 2022 l’indice di fiducia delle imprese e dei consumatori. E, dopo un lungo lasso di tempo in negativo, la buona notizia è che torna a salire. In estrema sintesi, dai segnali raccolti dall’Istituto di Statistica pare che imprese e cittadini ricomincino a “vedere rosa” per quanto riguarda il proprio futuro personale e quello generale del nostro Paese. 

I dati di novembre 2022

A novembre 2022 l’Istat stima un aumento sia dell’indice del clima di fiducia dei consumatori (da 90,1 a 98,1) sia dell’indice composito del clima di fiducia delle imprese (da 104,7 a 106,4). Tutte le serie componenti l’indice di fiducia dei consumatori sono in miglioramento. Anche i quattro indicatori calcolati mensilmente a partire dalle stesse componenti presentano una variazione congiunturale estremamente positiva. In particolare, il clima economico e il clima futuro registrano le variazioni più accentuate (rispettivamente da 77,6 a 95,2 e da 88,8 a 102,8); il clima personale e quello corrente aumentano in modo più contenuto (nell’ordine da 94,3 a 99,0 e da 91,0 a 94,9).

Numeri positivi dopo quattro mesi di flessione

L’Istat osserva che, dopo quattro mesi consecutivi di flessione, il clima di fiducia delle imprese torna ad aumentare trainato soprattutto dalle aspettative sulla produzione nel comparto manifatturiero, da quelle sugli ordini nei servizi di mercato e dalle attese sulle vendite nel commercio al dettaglio. Anche il clima di fiducia dei consumatori presenta una dinamica positiva dovuta soprattutto ad opinioni sulla situazione economica del paese, comprese quelle che riguardano il tasso di disoccupazione, in deciso miglioramento, seguite da attese sulla situazione economica familiare e da opinioni sulle possibilità di risparmio in ripresa.

Cresce l’ottimismo tra le imprese

Il clima di fiducia migliora in tutti i comparti imprenditoriali (nel settore manifatturiero l’indice passa da 100,7 a 102,5, nei servizi da 96,0 a 98,8 e nel commercio al dettaglio da 109,0 a 112,2) ad eccezione delle costruzioni dove l’indice diminuisce da 157,5 a 151,9. Considerando le componenti dei climi di fiducia delle imprese, nel comparto manifatturiero si rileva un peggioramento dei giudizi sulla domanda e un incremento delle giacenze di prodotti finiti, mentre sono in deciso miglioramento le attese sulla produzione. Nelle costruzioni tutte le componenti peggiorano. In merito invece al comparto dei servizi di mercato, le attese sugli ordini registrano un marcato miglioramento mentre il saldo dei giudizi sugli ordini e quello sull’andamento degli affari diminuiscono. Nel commercio al dettaglio, infine, le attese sulle vendite crescono decisamente mentre i relativi giudizi si deteriorano; le opinioni sulle scorte rimangono sostanzialmente stabili.

Doccia senza porte: una interessante idea per il tuo bagno

Conosci la doccia senza porte, chiamate anche “Walk In“?

Si tratta di una soluzione che da qualche tempo va di gran moda anche in Italia, certamente qualcosa in grado di creare un effetto di piacevole stupore sull’osservatore e che infonde al tempo stesso all’intero ambiente una netta percezione di design e ricercatezza.

Vediamo di capire innanzitutto cosa sia una doccia senza porte e perché oggi siano così tante le persone a desiderare questo tipo di soluzione per il proprio bagno.

Cosa è una doccia senza porte?

Una doccia senza porte è sostanzialmente una doccia in cui è presente soltanto un profilo di vetro, il cui scopo è quello di evitare che gli schizzi d’acqua vadano sul pavimento.

Tale profilo di vetro è posizionato in genere proprio di fronte il soffione della doccia, per intercettare le goccioline d’acqua.

Per il resto non ci sono porte o altre chiusure, dunque l’accesso è particolarmente facile dato che si tratta di una doccia che a tutti gli effetti dà la sensazione di rimanere “aperta”.

Un’altra delle particolarità delle docce senza porte è che in genere si preferisce evitare di installare qualsiasi tipo di piatto doccia ma al contrario si opta per un filo pavimento, soluzione questa in grado di apportare un ulteriore contributo in termini di eleganza.

Parliamo dunque di una doccia che al momento va sicuramente di tendenza e che è possibile trovare anche nelle strutture ricettive di lusso.

I vantaggi di una doccia “Walk In”

Approfondito dunque ogni aspetto pratico delle doccia senza porte, vediamo allora di seguito quelli che potrebbero essere alcuni dei vantaggi nel far installare questo particolare tipo di box doccia.

  • Costi di manutenzione più bassi: come accennato, nelle docce senza porte vi sono certamente meno elementi rispetto una doccia tradizionale. Non ci sono porte, binari e profili scorrevoli. Ciò significa che ci sono un minor numero di pezzi che si possono guastare e dunque una minore necessità di manutenzione nel corso del tempo.
  • Pulizia più semplice: minor numero di pareti in vetro significa autonomamente minor numero di superfici da pulire. Questo è un vantaggio non di poco conto, considerando che in genere i pannelli della doccia si riempiono di goccioline al termine dell’utilizzo. Doverne pulire soltanto uno anziché tre o quattro è davvero un bel vantaggio.
  • Tempi di installazione più rapidi: proprio in virtù del fatto che non c’è un piatto doccia e non ci sono binari e soluzioni scorrevoli da installare, l’installazione di una doccia senza porte è particolarmente veloce. Questo significa che se opterai ad esempio per il servizio di sostituzione della vasca con una doccia probabilmente gli operai riusciranno a fare tutto in un’unica giornata.
  • Costi d’acquisto inferiori: proprio in virtù del fatto che vi sono meno elementi da installare, il costo di una doccia aperta è mediamente più basso rispetto a quello di un normale box doccia. Tra l’altro anche le operazioni di posa sono più veloci e dunque la manodopera necessaria è minore.

Una installazione a regola d’arte infine, assicurerà la non fuoriuscita di goccioline d’acqua durante la doccia. Per questo motivo è molto importante che il team che si occuperà dell’installazione della tua doccia Walk In abbia la giusta esperienza circa questo tipo di soluzione e che non ci siano dunque difetti di alcun tipo nella messa in opera.

L’effetto finale è garantito e vedrai per questo che i tuoi ospiti rimarranno piacevolmente sorpresi da questa interessante novità.

A te invece andranno tutti i vantaggi del poter godere dei benefici, sia a livello estetico che di benessere, che una doccia di questo tipo è in grado di regalare.

Lavoro: il Quiet Quitting mette in difficoltà le aziende

Stando agli ultimi dati pubblicati dall’Osservatorio sul Precariato dell’Inps, in Italia nel primo semestre 2022 oltre 1 milione di persone ha deciso di dare le dimissioni dal posto di lavoro. Rispetto al primo semestre 2021 le dimissioni sono cresciute del 31,73%, in parallelo a un incremento del 26% di assunzioni. Il fenomeno delle Grandi dimissioni continua quindi a essere centrale a livello nazionale. A livello internazionale, però, sembra che il fenomeno stia lasciando spazio a un nuovo trend, il Quiet Quitting. Trascorsa quindi l’onda più drastica della consegna delle dimissioni, ora molti lavoratori scelgono una via più lenta, senza tagli netti. Quiet Quitting significa infatti “lasciare lentamente”, ovvero, mollare la presa sul lavoro, limitandosi a fare lo stretto necessario.

Evitare lavoro extra, straordinari, reperibilità

“Il fenomeno del Quiet Quitting, seppur possa sembrare meno impattante rispetto a quello delle dimissioni di massa, non deve e non può essere trascurato dalle aziende – spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati -. Le persone che scelgono in modo razionale e sì, strategico, di mettere paletti chiari alla propria vita lavorativa iniziano con evitare il lavoro extra, gli straordinari, la reperibilità, smettendo del tutto di considerare la propria carriera lavorativa come una priorità. E questo, in uno scenario in cui fin troppo spesso le aziende contano proprio sugli extra, e sullo sforzo in più da parte dei dipendenti per raggiungere gli obiettivi prefissati, può ovviamente diventare un problema considerevole”.

Solo il 21% dei dipendenti globali è ancora coinvolto dal proprio lavoro

Al di là dei social network, dove l’hashtag #quietquitting continua a guadagnare popolarità, la concretezza del fenomeno è testimoniata dal report State of the global workplace 2022 di Gallup. Lo studio dice che se prima della pandemia l’engagement dei dipendenti nei confronti delle aziende fosse in continuo aumento a livello globale, oggi è invece stagnante o in flessione. Guardando ai numeri attuali, solamente il 21% dei dipendenti afferma di essere coinvolto dal proprio lavoro, un dato che in Europa scende al 14%.

Un fenomeno che riguarda soprattutto Millennial e Gen Z

“I numeri mostrano che il fenomeno del Quiet Quitting riguarda soprattutto i lavoratori delle generazioni Millennial e Z, ovvero la forza lavoro nata a partire dagli anni Ottanta, che rappresenta la parte più produttiva e più importante per lo sviluppo delle aziende – spiega Adami -. Se per evitare le dimissioni dei dipendenti le aziende sono chiamate a investire nella formazione degli assunti, a introdurre benefit e ad ascoltare le esigenze dei dipendenti, nel caso del Quiet Quitting l’attenzione va posta soprattutto sul dialogo, e sulla costruzione di un rapporto autentico ed empatico tra manager e membri del proprio team. Questo, perché un ambiente di lavoro sano e trasparente permette di ridurre il turnover e aumentare la propensione alla produttività”.

Piccole e medie imprese, gli incidenti di cybersecurity sono tra gli eventi più gravi

Calo deciso delle vendite, certo, ma anche attacchi informatici: ecco quali sono le maggiori difficoltà in cui possono incorrere le piccole e medie imprese. Lo rivela un recente sondaggio globale di Kaspersky, condotto su 1.307 decision-maker di aziende con un numero di dipendenti compreso tra 1 e 999. Insomma, a fare paura alle aziende sono proprio queste due evenienze, quasi allo stesso livello. Addirittura, il 13% degli intervistati di piccole e medie aziende ritiene che gli attacchi online siano la sfida più impegnativa. I risultati della ricerca indicano anche che la probabilità di incorrere in un incidente di cybersecurity aumenta in base al numero di dipendenti dell’azienda.

Preoccupazioni non infondate

Le preoccupazioni per la sicurezza informatica non sono infondate, soprattutto se si considera che la probabilità di dover affrontare un problema legato alla cybersecurity aumenta con la crescita dell’azienda. Sebbene solo l’8% delle organizzazioni con un numero di dipendenti compreso tra 1 e 8 abbia dichiarato di aver affrontato un incidente di sicurezza informatica, questa percentuale sale al 30% tra le aziende con più di 501 dipendenti. “Oggi gli incidenti di cybersecurity possono interessare le aziende di tutte le dimensioni e incidere in modo significativo su attività, redditività e reputazione. Tuttavia, come mostra il nostro report Incident Response analytics, nella maggior parte dei casi gli avversari sfruttano evidenti lacune nella sicurezza informatica di un’organizzazione per accedere alla sua infrastruttura e rubare denaro o dati. Questo suggerisce che le misure di protezione di base, accessibili anche alle piccole aziende, come efficaci policy di password, aggiornamenti regolari e la consapevolezza dei dipendenti in materia di sicurezza, se non vengono trascurate, possono contribuire in modo significativo alla cybersecurity dell’azienda”, ha commentato Konstantin Sapronov, Head of Global Emergency Response Team di Kaspersky.

Come proteggersi?

Le raccomandazioni per non incorrere in questi incidenti sono sempre le stesse, ma vanno attuate. Si tratta di implementare la policy di password forti, richiedendo che la password di un account utente standard abbia almeno otto caratteri, un numero, lettere maiuscole e minuscole e un simbolo speciale. Ovviamente le password vanno modificate se esiste il sospetto che siano state compromesse: per essere più sicuri, si può adottare un sistema di sicurezza con un gestore password integrato. Ancora, è importante aggiornare regolarmente software e dispositivi e proteggersi dal ransomware  con soluzioni di sicurezza capaci di identificare e bloccare malware sconosciuti.

The State of Software Development lancia un appello agli sviluppatori italiani

BitBoss, startup innovativa incubata in I3P, l’Incubatore delle imprese innovative del Politecnico di Torino, per il terzo anno consecutivo lancia un appello agli sviluppatori italiani perché prendano parte alla ricerca annuale The State of Software Development in Italy.
“L’obiettivo è quello di scattare una fotografia in costante evoluzione della figura dello sviluppatore – spiega Davide Leoncino, Co-Founder e Head of Marketing BitBoss -. Una professione ormai fondamentale per la vita delle imprese e che tutti gli imprenditori dovrebbero imparare a conoscere e a valorizzare se vogliono competere per attirare i talenti migliori”.

Talenti rari che le imprese fanno sempre più fatica ad attirare

Nel 2020, il 35,5% degli sviluppatori freelance affermava di aver registrato un incremento del lavoro durante il lockdown, mentre solamente il 17,3% dichiarava di aver subito una flessione negativa. Nel 2021, 9 sviluppatori su 10 affermavano di essere occupati e soddisfatti del proprio lavoro e solo il 10% stava cercando attivamente un lavoro. Secondo una ricerca condotta da Indeed, quello dello sviluppatore di software è uno dei lavori più pagati e richiesti in Italia. Eppure è sempre più difficile trovare risorse esperte in questo campo: gli sviluppatori continuano a essere talenti rari che le imprese fanno sempre più fatica ad attirare.

Grandi Dimissioni e aumento estremo della domanda 

Il fenomeno della Great Resignation sta interessando diversi settori, tra cui anche quello dello sviluppo software. Una ricerca della Harvard Business Review ha infatti rivelato che i tassi di dimissioni hanno interessato più che altro i lavoratori impegnati nei campi che avevano registrato un aumento estremo della domanda a causa della pandemia, portando probabilmente a un eccessivo aumento nei carichi di lavoro. Intanto, la domanda di figure tecniche da parte delle aziende cresce, e non solo per poter competere in maniera efficace sui mercati esistenti, ma soprattutto grazie all’emergere di nuove opportunità di business nel digitale. Esempi sono rappresentati dalle nuove tecnologie legate alla blockchain e al web3.

Cosa si può prevedere per il futuro?

Secondo uno studio condotto da Forbes, le startup che operano nel mondo delle criptovalute hanno ottenuto nel complesso 30 miliardi di dollari di investimento in VC nel 2021, 50 dei quali hanno raccolto oltre 100 milioni di dollari. Alla luce di questi dati cosa si può prevedere per il futuro? “Sicuramente chi conosce il mondo della tecnologia da vicino avrà un’opinione in merito e vorremmo capire se gli sviluppatori in Italia percepiscono tutte queste innovazioni come il futuro del web, oppure se associano questi fenomeni a una serie di bolle pronte a scoppiare – commenta Davide Leoncino, Co-Founder e Head of Marketing di BitBoss -. Sicuramente capire qual è l’opinione di chi lavora tutto il giorno nel mondo dell’innovazione dovrebbe influenzare il modo che avranno le aziende di utilizzare queste nuove tecnologie”.

Alle Pmi i rincari di luce e gas nel 2022 costano quasi 106 miliardi

Una stangata che rischia di provocare una vera debacle al nostro sistema produttivo: sfiora i 106 miliardi di euro il costo aggiuntivo che le Pmi italiane subiranno quest’anno a causa dei rincari di energia elettrica e gas. La stima è stata calcolata dall’Ufficio studi CGIA, giunto a questo risultato ipotizzando, per l’anno in corso, gli stessi consumi registrati nell’anno pre-pandemia, ma applicando per l’intero 2022 le tariffe medie di luce e gas sostenute in questi ultimi sei mesi. I 106 miliardi di extra costo, tuttavia, potrebbero essere addirittura sottostimati. Se dal prossimo autunno la Russia dovesse chiudere ulteriormente le forniture di gas verso l’Europa, è probabile che il prezzo di questa materia prima subirà un’impennata, che spingerà il costo medio dell’ultima parte dell’anno a un livello molto superiore a quello registrato nei primi sei mesi del 2022.

Nei primi sei mesi del 2022 costo medio dell’energia elettrica +378%

In ogni caso, se nel 2019 il costo medio dell’energia elettrica ammontava a 52 euro per MWh, nei primi sei mesi del 2022 si è attestato a 250 euro (+378%). Pertanto, a fronte di un consumo di 217.334 GWh, il costo totale in capo alle imprese nel 2019 ha toccato i 35,9 miliardi di euro, mentre quest’anno la bolletta toccherà 108,5 miliardi di euro (+72,6 miliardi).

Il confronto sul 2019 per il gas

Per il gas, viceversa, se tre anni fa il costo medio era di quasi 16 euro per MWh, nei primi sei mesi del 2022 il prezzo ha sfiorato i 100 euro (+538%). Perciò, a fronte di un consumo medio annuo di 282.814 GWh, nel 2019 le imprese hanno sostenuto un costo medio complessivo pari a 9,5 miliardi di euro, contro i 42,8 miliardi del 2022 (+33,3 miliardi di euro). Sommando quindi i 72,6 miliardi di extra costi per la luce e i 33,3 per il gas otteniamo 105,9 miliardi di costi aggiuntivi che le aziende dovranno farsi carico quest’anno rispetto al 2019.

Le misure di mitigazione

Ancorché insufficienti, riporta Askanews, va comunque segnalato che il Governo ha in parte smorzato l’impennata dei costi energetici. I soldi messi a disposizione per mitigare i rincari nel biennio 2021-22, infatti, ammontano, includendo anche il Decreto Aiuti, a 22,2 miliardi di euro, di cui 16,6 nel 2022. Di questi, 3,2 miliardi hanno ‘ristorato’ le famiglie, 7,5 le imprese e 11,5 sosterranno sia le prime sia le seconde.

Artigiani superpagati e supercontesi: le imprese non li trovano

La denuncia arriva dall’Unione artigiani: molti artigiani del legno e del mobile e relativi mestieri, nonostante siano superpagati, sono introvabili, e le imprese se li contendono a suon di aumenti di stipendio. Soprattutto i falegnami ebanisti. Si tratta di quelli ‘bravi’, che sanno partire dalle misure, dalla scelta delle tavole di legno per arrivare alla realizzazione del prodotto finito e personalizzato. E che devono sapersi relazionare non solo con i clienti finali, ma anche con architetti e designer, ingegneri, ed esperti di materiali ecosostenibili, prototipazione e domotica, verniciatori e cucitrici, muratori, idraulici, imbianchini ed elettricisti. E poi devono avere competenze di Cad e Cnc.
Ma le imprese non riescono a trovarli.

Tappezzieri e cucitrici hanno già il posto fisso fin da quando si iscrivono al corso

Certo, esistono i corsi, ma ogni impresa forma sul campo queste figure affiancandole ai maestri. Molto spesso sono i familiari dei titolari, inseriti in un percorso di passaggio generazionale che però non sempre riesce. Esistono molte opportunità di lavoro anche per coloro che si mettono in proprio. I tappezzieri e le cucitrici sono, ad esempio, rispettivamente gli esperti degli imbottiti e delle cuciture di divani, cuscini, tende e altro, e hanno già il posto fisso dal momento in cui si iscrivono al corso.
Eppure a oggi, al Cfp Terragni di Meda, cuore del distretto del mobile brianteo, al corso da tappezziere si sono iscritti direttamente dalla terza media solo tre ragazzi.

Il mercato di massa è in gran parte in mano a dopo-lavoristi o pensionati

E in un clima di imprese sempre più green molto gettonati sono anche gli esperti di produzione sostenibile, presenti e molto richiesti dalle grandi imprese del mobile. A loro la responsabilità di scegliere i materiali, innovare i processi produttivi, selezionare e formare gli artigiani conto terzisti con un impatto molto incisivo su tutta la filiera. Ma c’è carenza anche di restauratori di mobili. I tecnici esperti hanno lavori spesso affidati da facoltosi proprietari e committenze pubbliche, ma il mercato di massa è in gran parte in mano a dopo-lavoristi o pensionati.

In pochissimi lavorano ancora manualmente

Un professionista poco noto poi è il carteggiatore, un esperto in grado di rendere la superficie del legno nuda, uniforme, liscia e pronta per trattamenti e rifiniture. In pochissimi lavorano ancora manualmente, solo per pezzi unici ed esclusivi. Mancano poi i montatori. Le imprese artigiane consegnano e montano direttamente i mobili nelle case dei clienti, ma la media-grande distribuzione oggi esternalizza il servizio a costi sicuramente competitivi e condizioni economiche spesso insostenibili per gli operatori, costretti a lavorare di corsa e a cottimo.
“Nel mondo del legno-arredo l’artigianato offre possibilità straordinarie – spiega il segretario generale di Unione Artigiani Marco Accornero -. Dobbiamo ripartire dalle scuole dell’obbligo e lanciare una grande campagna per incentivare i ragazzi a scegliere i mestieri artigiani”.